La stagione delle riforme ha ritrovato vigore di fronte alla prospettiva che il Governo appena eletto possa durare cinque anni. È da qualche giorno, infatti, che si leggono e si ascoltano accenni sulle caratteristiche che potrebbe assumere l’ennesimo tentativo di riformare il fisco nazionale. Al momento niente di concreto, nessun provvedimento normativo, per i quali bisognerà aspettare fine febbraio-inizio marzo. Fino ad allora si assisterà a un susseguirsi di proposte che potrebbero essere migliorate dal dibattito che le accompagnerà.



In tema di Irpef è stata annunciata la riduzione delle aliquote che dovrebbero diventare tre, mentre sembrerebbe essere stata accantonata la riforma del catasto che il nuovo Governo considera già allineato agli standard europei.

La riduzione delle aliquote Irpef sarà senza dubbio la riforma più complessa e dovrà essere conciliata con l’esistenza di diverse aliquote piatte (cedolari) come quelle applicate alla tassazione delle locazioni o dei redditi finanziari e non potrà non toccare la miriade di detrazioni e deduzioni di imposta che ristorano ben poco.



È prevista anche l’eliminazione dell’Irap per tutti i soggetti Irpef, quindi, soci di società di persone e associazioni professionali, per i quali l’imposizione resiste creando occasioni di contenzioso che non tengono in considerazione gli interventi operati dalla Corte Costituzionale. L’abolizione dell’Irap per i soggetti Irpef non è una novità, ma sarebbe un’accelerazione di quanto già avviato dal Governo Draghi che però ne prevedeva l’entrata a regime in maniera più lenta.

Anche in tema di tassazione delle società si rincorrono le voci di interventi possibili, uno fra tutti e la detassazione degli utili reinvestiti in azienda. Non è chiaro se ci sarà una riproposizione dell’Ace o come auspicabile una rivisitazione dell’art. 26 introdotta temporaneamente dal Governo Conte con il Decreto rilancio.



Sarebbe utile, infatti, che l’alleggerimento dell’Ires per chi investe in azienda fosse esteso anche a chi opera un rafforzamento patrimonialmente della stessa. Quest’ultima previsione, infatti, potrebbe indurre a innovare il sistema produttivo e favorirebbe il superamento della crisi di liquidità indotta dal Covid prima e dalla crisi energetica poi che caratterizza molte aziende. Agevolare il reinvestimento di utili in azienda dovrebbe consentire di superare l’attuale sistema degli incentivi previsto in tema di investimenti e/o formazione 4.0. L’attuale versione di questi incentivi è farraginosa, foriera di contenziosi legati a interpretazioni postume spesso incomprensibili. Nei fatti l’attuale assetto incentivante ha fatto di certo la fortuna dei produttori di beni aventi “normativamente” le caratteristiche 4.0 che però spesso sono di difficile implementazione nei processi produttivi delle Pmi. È facilmente prevedibile che, nell’attuale contesto normativo e interpretativo, anche per queste forme di incentivo si assisterà a situazioni di contenzioso crescente al pari di quanto accade per le agevolazioni concesse per le attività di Ricerca e Sviluppo.

Interventi sono stati annunciati anche in tema di rivisitazione delle attività accertative e di irrogazione delle sanzioni dalle quali sarebbero, giustamente, esclusi gli illeciti più gravi, come quelli legati alle false fatture, mentre sono auspicabili interventi in tema di deducibilità dei crediti inesigibili e di deducibilità degli interessi passivi.

Nel dibattito non ha fatto mancare la sua voce l’Agenzia delle Entrate, che ha informato che nei prossimi anni particolare attenzione sarà dedicata alla verifica dei bonus edilizi che dovrebbe portare a un recupero di evasione per circa 9 miliardi per ciascuno dei prossimi tre anni. Le attività in questo ambito sicuramente sono auspicabili per reprimere gli abusi. Molto probabilmente giungeranno tardi e colpiranno i proprietari degli immobili “colpevoli” di non aver perseguito la conflittualità di interessi “allentata” dalle caratteristiche iniziali delle norme legate al superbonus e al bonus facciate.

Interessante è la proposta di rafforzare lo Statuto del Contribuente che dovrebbe essere rinominato Statuto del Contribuente e dell’Impresa. Gli interventi annunciati prevedono un riequilibrio dei ruoli del fisco e dei contribuenti spesso vessati da interpretazioni induttive che non lasciano spazio alla difesa.

Alla luce delle premesse sarebbe auspicabile che la riforma, in special modo quella dell’Irpef, fosse condivisa con le opposizioni e accompagnata da interventi di razionalizzazione della spesa pubblica. La riforma dell’Irpef, infatti, incide sulla struttura della società che si vuole per i prossimi anni. Per avere benefici deve portare alla riduzione della pressione fiscale che sia da stimolo per la crescita economica.

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