Il tema della riforma fiscale è un evergreen sempre divisivo. Un interessante spunto sul tema viene dai commenti fatti alle conclusioni contenute nel paper cofirmato da Andrea Roventini della Scuola Superiore Sant’Anna e da Alessandro Santoro dell’Università Bicocca. Lo studio avrebbe concluso che il nostro sistema fiscale è disegnato apposta per aumentare le disuguaglianze. I risultati raggiunti, infatti, sembrano evidenziare che per il 5% della popolazione avente redditi più alti risulta sia addirittura regressivo: in pratica, per alcune fasce di contribuenti, l’aliquota media pagata diminuisce all’aumentare del loro reddito.
Stante ai risultati dello studio, “la disuguaglianza di reddito prima delle tasse è cresciuta lasciando indietro i poveri, mentre la quota dei redditi aumentava costantemente”. A risultarne danneggiati sarebbero gli under 35, le donne, gli abitanti del Meridione. La conclusione che ne traggono alcuni commentatori è la violazione del principio di progressività dettato dall’art. 53 della Costituzione che andrebbe corretto attraverso l’introduzione di una tassa sulla ricchezza.
Non è chiaro a pieno se lo studio tenga conto della rimodulazione delle aliquote approvata di recente e delle diverse imposte piatte tempo per tempo introdotte che di fatto minano il principio della progressività già da un po’. In sostanza le conclusioni sembrano puntare il dito contro la tassazione dei redditi da capitale che essendo assoggettati in maniera proporzionale agevolerebbero i redditi alti alla cui formazione concorrerebbero, in misura prevalente, i redditi da capitale non soggetti a Irpef, ma a un’aliquota piatta.
Sarebbe utile capire se lo studio abbia tenuto conto del sistema produttivo italiano ancora in larga parte caratterizzato da imprese familiari e, comunque, di piccole dimensioni sempre più spesso di fronte alla criticità del passaggio generazionale. Si evidenzia ciò in quanto se da un lato è vero che la tassazione dei redditi di impresa conseguiti in ambito societario è progressivamente cambiato negli ultimi 25 annui finendo per diventare oggi fissa al 26%, è dall’altro altrettanto vero che chi si ferma a questa osservazione dimentica che il reddito di impresa che “produce” dividendi è preventivamente tassato, almeno, al 24%. Per cui dire che l’imposta pagata dai percettori dei dividendi porti a una tassazione inferiore rispetto a quella dell’applicazione dell’aliquota Irpef poi applicabile non è proprio corretto. Spinge a vedere una parte del problema, ma dimentica la nostra società.
In attesa di comprendere meglio le conclusioni dello studio non pare immediatamente condivisibile la soluzione che porta a richiedere l’introduzione di una tassa sulla ricchezza. Puntare solo e sempre sull’introduzione di una patrimoniale sembra essere una mossa volta ancora una volta a voler piantare una bandierina. È indubitabile che porterebbe gettito, ma poi impone di interrogarsi sull’utilizzo che si intende fare del gettito aggiuntivo. Non ci si può limitare sempre a ricercare gettito, ma occorre contemporaneamente declinare bene quale società si vuole.
Il percorso della riforma fiscale, dunque, non pare avere imboccato la giusta direzione se si osserva il dibattito accesosi intorno alla riforma del catasto. Lo stallo in atto è senz’altro influenzato dal calendario che vede le politiche programmate per il 2023 e non rinviabili. La lezione della guerra Russia-Ucraina ha confermato ciò che manca in Italia è un po’ di sano realismo utile per superare lo stallo politico. Scelte condizionate dai no a prescindere e di bandierine da piantare hanno di fatto reso il nostro sistema energetico dipendente dall’estero. È facile osservare che anche il sistema fiscale (ma più in generale il sistema Paese) ha indotto molte aziende italiane a delocalizzare in Cina e in Est Europa oltre a essere incapace di attrarre imprese straniere. Fare una legge contro le delocalizzazioni equivale a rendere ancora più rigido il nostro sistema.
In questo scenario è interessante capire come verrà declinato l’Atto di indirizzo sulle politiche fiscali per gli anni 2022-2024 emanato dal Mef che sottolinea come la riforma dovrà essere, oltre che sostanziale, anche un’occasione di semplificazione e modernizzazione del fisco perché diventi fonte di sviluppo e attrattivo.
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