È fatto noto che l’impulso a intervenire per la modifica del sistema sanzionatorio è venuto sia dai giudici nazionali (Corte costituzionale e Cassazione), sia da quelli europei, con la Corte di Giustizia che ha sollecitato una revisione soprattutto sull’Iva. I richiami hanno un denominatore comune: rendere il sistema sanzionatorio nazionale coerente con quello applicato in altri Stati dell’Unione (almeno per le violazioni meno gravi non caratterizzate da dolo o frodi).
Purtroppo non si può negare che la modifica, al pari di ogni riforma, da chiunque proposta, è operazione che provoca scontro politico caratterizzato da evidenti preconcetti. Il motivo dello scontro dipende dalla visione contrapposta che si ha della finalità e dell’utilizzo del sistema sanzionatorio. Il confronto politico, infatti, non riesce quasi mai a distinguere le diverse fattispecie. È diffuso, infatti, l’intendimento che si debba avere un sistema sanzionatorio da esercitare con mano pesante perché il nostro sistema è caratterizzato da una disonestà fiscale molto diffusa. La questione detta e pensata così è un’esemplificazione che alimenta la contrapposizione sociale e la disaffezione fiscale. Esemplificando, ma neanche troppo, si può sostenere che il sistema sanzionatorio oggetto di riforma è caratterizzato dall’applicazione della stessa severità tanto ai comportamenti non gravi o caratterizzati da buona fede che a quelli invece caratterizzati da frode.
L’attenzione del Governo sembra puntare a un cambiamento dell’approccio tra fisco e contribuenti. Un esempio è costituito dal nuovo istituto dell’adempimento collaborativo che punta a introdurre la possibilità per le imprese di ottenere una certificazione da parte di professionisti qualificati dei sistemi integrati di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale anche in ordine alla loro conformità ai princìpi contabili.
È altrettanto ravvisabile nell’intenzione del Governo la volontà di ristabilire la proporzionalità della sanzione puntando a cogliere le differenze tra le diverse violazioni. Si vuole differenziare il trattamento sanzionatorio guardando alla gravità della violazione, puntando a valutare i comportamenti in modo capire se siano dipendenti da incertezze della norma o da interpretazioni del fisco che arrivano a posteriori, a volte anche dopo anni.
L’approccio è innovativo sull’Iva e sulle false compensazioni dove si punta ad aiutare chi dichiara ma poi non riesce a versare gli importi dovuti. Per questi casi sarebbe previsto di non far scattare la soglia di punibilità (oltre 250mila per l’Iva e oltre 150mila euro per le ritenute) se si opta per il pagamento del dovuto a rate introducendo un ombrello alle contestazioni penali. Altrettanto innovativo è l’approccio sul fronte penale che vuole valorizzare gli indirizzi di non punibilità elaborati dalla giurisprudenza puntando ad agevolare chi non può pagare per cause di forza maggiore (ad esempio, in conseguenza di mancati pagamenti della Pubblica amministrazione), chi decide comunque di mettersi in regola, anche attraverso la rateizzazione, pagando l’intera imposta, le sanzioni (ridotte) e gli interessi.
Lo scontro su questo tema è forte perché questo approccio viene visto come l’ennesimo regalo fatto agli evasori. Siamo difronte a un approccio parziale che non coglie l’intenzione di rendere, attraverso la riduzione delle sanzioni, più facilmente esigibili i crediti del fisco. Contraddittorio e non condivisibile è l’approccio che vuole limitare il favor rei per cui le nuove sanzioni amministrative che si vogliono introdurre varranno solo per il futuro e non per il passato ovvero saranno operative solo dopo l’entrata in vigore del decreto attuativo. Questo approccio, oltre che andare contro la Costituzione, contraddice la scelta operata con le rottamazioni, volute da quasi tutti, che hanno favorito i pagamenti dei debiti erariali azzerando le sanzioni. È facile prevedere che la disapplicazione legislativa del favor rei sarà di difficile applicazione e foriera di contenziosi futuri che rischiano di introdurre altre frizioni e contrapposizioni tra fisco e contribuenti.
Riepilogando, appare condivisibile la volontà di ridurre le sanzioni applicabili, a coloro che vogliono pagare anche successivamente. Senza senso appare invece la tesi di coloro che considerano un favore agli evasori la riduzione delle sanzioni perché lascerebbe liberi di scegliere come e quanto pagare. Questa tesi non risponde all’interrogativo su quale sia la convenienza a pagare successivamente se ciò costa una maggiorazione del 70%. Corrisponde al vero, invece, che poco si è proposto per contrastare chi è realmente evasore ovvero per le società apri e chiudi. Questo tema, seppur già poco presente, è riemerso in questi giorni allorquando Infocamere ha reso noto che la stagione del Superbonus è stata caratterizzata da migliaia di aziende (11 mila) aperte e chiuse solo per sfruttare i buchi della norma agevolativa.
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