Il ministro dell’Economia Franco, con le dichiarazioni rilasciate nell’audizione presso le commissioni Finanze di Camera e Senato, riunite in forma congiunta per l’occasione, confermano l’intenzione del Governo di emanare entro la fine di questo mese una proposta di legge delega che contenga le linee guida per una riforma complessiva del sistema di imposizione fiscale, ma sottolineano nel contempo l’impraticabilità dell’obiettivo di ridurre nel breve periodo, e in modo significativo, la pressione fiscale per la carenza di risorse disponibili.
I contenuti dell’intervento, già anticipati nei giorni precedenti, confermano la distanza con le aspettative poste dalla relazione conclusiva dei lavori delle richiamate Commissioni parlamentari, formalmente equiparata dal ministro Franco a una sorta di linee guida per la predisposizione della legge delega. Quella che viene messa in discussione è la compatibilità finanziaria di una proposta generale di riforma che, combinando gli effetti dell’abbassamento delle aliquote Irpef, la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, e la revisione della tassazione sulle imprese e sui capitali, potrebbe comportare un fabbisogno di almeno 30 miliardi di copertura per l’erario, sulla base di una recente stima effettuata dalla sottosegretaria del Mef Maria Cecilia Guerra.
Sulle priorità, e sui contenuti della riforma, il ministro Franco non si è sbilanciato, con l’unica eccezione rivolta a sottolineare l’opportunità di privilegiare il superamento dell’Irap come imposta obsoleta e la riduzione del cuneo fiscale del costo del lavoro per favorire la crescita dell’occupazione. Nel mentre è stato puntiglioso nel marcare i paletti destinati a segnare la navigazione della nuova legge delega: la volontà di riformare l’insieme del sistema di imposte evitando di modificare singoli ambiti della tassazione, la necessità di far fronte all’eventuale riduzione della pressione fiscale con nuovi tagli della spesa pubblica, l’esigenza di privilegiare la semplificazione e la razionalizzazione delle imposte per rendere più efficace ed efficiente il sistema di imposizione, l’obbligo morale di ridurre in modo significativo l’evasione fiscale.
Questo approccio, oltre che segnare la distanza con le aspettative che avevano accompagnato le conclusioni dei lavori delle commissioni parlamentari, merita una riflessione sulle inevitabili difficoltà che potrebbero sorgere nel percorso di redazione e di approvazione della legge delega.
Il lavoro parlamentare è stato caratterizzato dalla ricerca di un compromesso tra le diverse sensibilità politiche. Più inclini a favorire la riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sui redditi dei lavoratori da parte del centrodestra, per rafforzare la progressività della imposizione e la funzione redistributiva del sistema fiscale da parte delle forze del centrosinistra. Un compromesso destinato ad alzare la posta dei fabbisogni di copertura, con la richiesta implicita, e bipartisan, di finanziare la riforma con un aumento del deficit pubblico, trasferendo la patata bollente al Governo.
La volontà dell’esecutivo di farla mantenendo i vincoli di spesa, e privilegiando la semplificazione e la razionalizzazione, comporta inevitabilmente vantaggi e costi diversificati sulla platea dei contribuenti e una maggiore difficoltà nel costruire un consenso intorno alla riforma.
L’approccio parlamentare è aggravato dalla sottovalutazione delle problematiche inerenti all’impatto dei costi futuri dell’emergenza economica legata al Covid, in particolare degli effetti sul costo delle garanzie statali offerte sui debiti delle imprese che risulteranno inesigibili verso il sistema bancario, sull’effettiva possibilità di recuperare il pagamento delle imposte temporalmente sospese, e degli ulteriori fabbisogni di sostegno per le imprese e per i lavoratori impossibilitati a riprendere le attività economiche.
La possibilità di recuperare risorse con il taglio di una parte delle detrazioni o agevolazioni fiscali (un volume superiore ai 60 miliardi l’anno secondo le stime delle Commissioni parlamentari) è pregiudicato dal fatto che una quota rilevante di queste, le detrazioni per i carichi familiari, i superbonus per le ristrutturazioni abitative, il risparmio energetico e la sicurezza sismica, l’acquisto di mobili e mezzi di trasporto, e buona parte della agevolazioni per le imprese, o sono stati già impegnati per offrire coperture ad altri provvedimenti (vedi le detrazioni per i carichi familiari per l’introduzione dell’assegno assegno unico per i minori a carico) o comportano effetti di spesa già ipotecati per i prossimi dieci anni.
Nel frattempo i lavori parlamentari, anziché ridurre il numero di queste agevolazioni, lo sta ampliando con diverse tipologie di bonus e contributi per acquisto di beni, a partire dalle richiesta della maggioranza parlamentare di estendere temporalmente i superbonus per le ristrutturazioni abitative e di autorizzarli anche per gli immobili destinati agli impieghi economici. Del resto, l’utilizzo della leva fiscale per agevolare il raggiungimento dei obiettivi ambientali e per la digitalizzazione delle attività economiche è parte integrante del recente Pnrr approvato dalle istituzioni europee.
La possibilità di reperire nuove risorse dall’evasione fiscale o addirittura, come ipotizzato da più parti, per l’effetto virtuoso sulle entrate in conseguenza della riduzione della pressione fiscale, dovrebbe essere valutata alla luce dell’esperienza storica.
Anche nei tempi recenti il Direttore generale dell’Agenzia delle Entrate Ruffini ha messo in evidenza la sostanziale impossibilità di recuperare la gran parte dei 940 miliardi di euro di crediti fiscali accumulati presso il principale soggetto di riscossione, e la necessità di investire in tecnologie e personale qualificato per rendere più efficace l’azione di riscossione. Allo stato attuale la probabilità di subire un accertamento è molto più elevata per i contribuenti che pagano le imposte rispetto a quelli che le evadono integralmente.
Paradossalmente è lo stesso sistema fiscale che facilita l’accesso alle prestazioni sociali e ai bonus per coloro che dichiarano redditi bassi o sostanzialmente inesistenti (oltre la metà dei contribuenti) a incentivare i comportamenti devianti.
In alcuni articoli recenti dedicati alla riforma fiscale ci eravamo permessi di sottolineare queste contraddizioni, e una certa faciloneria con cui venivano messe in campo promesse di stampo elettorale sulla possibilità di ridurre la pressione fiscale. La presa di posizione del Governo rappresenta un serio richiamo alla realtà, ma segna anche i ritardi che le forze politiche, nel loro complesso, devono colmare per offrire un serio contributo all’esigenza di utilizzare al meglio le risorse disponibili e di assicurare la sostenibilità del debito pubblico nei prossimi anni.
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