Alla ripresa dell’attività politica dopo le vacanze estive, il Governo dovrà attuare la delega, ricevuta dal Parlamento, sulla riforma fiscale. Come ricorda Marco Osnato, Presidente della commissione Finanze della Camera dei Deputati, oggi ospite del Meeting di Rimini, «la legge delega è chiaramente divisa in due parti, che corrispondono a obiettivi diversi».



Quali sono queste due parti?

La prima riguarda le imposte e richiederà un intervento assai meticoloso: lo sforzo sarà quello di una razionalizzazione – per esempio, mettendo ordine alla babele di tax expenditures – che renda il sistema più semplice, affinché la riscossione dei tributi risulti meno onerosa e, soprattutto, i contribuenti subiscano una pressione fiscale inferiore, che stimoli anziché disincentivare la creazione di ricchezza. La seconda parte, invece, riguarda la riscrittura dei rapporti fra contribuenti e Amministrazione finanziaria: si tratta di un obiettivo a più breve termine, perché anche l’attuale ordinamento tributario – per quanto complicato e spesso ingiusto – dovrebbe trovare applicazione secondo un approccio che risulti favorevole, non ostile, per cittadini e imprese che lavorano e producono. Finora, purtroppo, non è stato così. Il Pnrr assegna le sue priorità, ma a mio avviso bisognerebbe partire ottimizzando le procedure: anche per rimediare ad alcune disfunzionalità create dalla riforma del processo tributario – emanata dal Governo precedente – che vorremmo modificare con un provvedimento separato rispetto ai decreti attuativi della Delega. Una volta reso più snello e funzionale l’impianto generale, sarà più semplice ripensare le imposte anche nell’ottica di un’Irpef ad aliquota unica (flat tax), cui arrivare nell’arco della legislatura. Era un pilastro del programma elettorale: checché ne dica l’opposizione, non l’abbiamo accantonato né dimenticato. È lì, all’articolo 5 della legge: un impegno solenne, cui non intendiamo venir meno.



Il Mef si avvarrà di un “Comitato tecnico” che contribuirà alla stesura dei decreti delegati, che poi verranno sottoposti alle Camere. Potranno esserci “attriti” che faranno tardare l’approvazione dei decreti o che non faranno prendere in considerazione i punti di vista di tutte le componenti della maggioranza presenti in Parlamento?

Anche la riforma organica del diritto societario, compiuta dal Governo Berlusconi II circa vent’anni fa, si avvalse di comitati di esperti – alcuni molto vicini al centrosinistra – che lavorarono alacremente e con ottimi risultati. Perché oggi dovremmo aspettarci qualcosa di diverso? Il Parlamento è intervenuto nella fase di approvazione della legge delega: tutte le forze politiche hanno avuto modo di far valere le loro idee e l’iter si è svolto con grande correttezza formale e sostanziale. È stato dato il giusto spazio a importanti approfondimenti tecnici, pur ripartendo dall’importante indagine conoscitiva della scorsa legislatura. Il lavoro in commissione Finanze è stato egregio: non lo dico io, per autocelebrarmi; lo hanno riconosciuto ampi settori dell’opposizione. Adesso è il turno del Governo: gli schemi dei decreti attuativi avranno un nuovo passaggio nelle commissioni permanenti, affinché il Parlamento possa nuovamente dire la sua; poi l’Esecutivo tirerà le somme. In questa seconda fase, l’apporto dei tecnici è fondamentale: ancor più che nell’iter della Delega, durante il quale abbiamo comunque audito illustri esponenti delle categorie produttive, delle professioni, dell’accademia, delle autorità indipendenti. Nonostante alcune strane idee circolate in passato, l’Italia è ancora “democratica” e non “tecnocratica”: le istituzioni politiche restano sovrane, indirizzando il lavoro dei tecnici sulla base del mandato popolare che sono chiamate a interpretare. Gli “attriti” fra tecnici sono espressione di un dibattito sano: spetta alla politica trovare una sintesi.



Quali effetti concreti (nelle tasche degli italiani e come crescita del sistema Paese) potrà avere la rimodulazione dell’Irpef e il superamento dell’Irap? Dove si potranno trovare le risorse per poter abbassare la pressione fiscale nel nostro Paese?

Partiamo dalle coperture. Nei giorni scorsi, il contributo straordinario di solidarietà sugli extraprofitti delle banche – ancorché una tantum – ha indicato la rotta. Non c’è alcun furore ideologico dietro a quella misura: si tratta di comprendere in quali settori gli ottimi risultati economici di poche grandi imprese siano frutto dell’impoverimento di una vasta maggioranza di cittadini e pmi, riequilibrando il carico fiscale in maniera conseguente. Se davvero vogliamo uscire dalla stagnazione che affligge molti Paesi avanzati, non c’è altra strada che capire chi debba inevitabilmente “dimagrire” nei prossimi anni. E il saldo complessivo avrà il segno “più” davanti, perché per fortuna l’economia non è un gioco a somma zero. Di sicuro, lo Stato è il primo a doversi mettere a dieta: la strada è quella di una spending review seria, oculata, strutturale, che dia una sforbiciata alle voci correnti – gravate dalle diffuse inefficienze della Pubblica amministrazione – lasciando inalterate quelle con un orizzonte di più lungo periodo, orientate allo sviluppo. E dovremmo batterci in Europa affinché prevalga la cosiddetta golden rule: gli investimenti andrebbero scomputati nel calcolare i parametri del Patto di stabilità e crescita. Quanto alla riduzione della pressione fiscale, non starò qui a elencare i vantaggi della flat tax; dico solo che una politica di bilancio prudente e responsabile, che ponga rimedio – come stiamo facendo – agli sprechi dei Governi precedenti, sarà il miglior presidio nell’ipotesi in cui un’Irpef ad aliquota unica finisca per generare risorse inferiori nel breve periodo. Io non credo che sarà così, ma saremo preparati. L’Irap, invece, è spesso ritenuta la più odiosa delle imposte: la ratio che sottostà al suo calcolo è assolutamente iniqua. Ovviamente, visto che il suo gettito finanzia la sanità, il testo della legge delega si premura che quelle risorse continuino a essere disponibili anche quando questo balzello sarà stato definitivamente superato.

Ci sarà particolare attenzione alle famiglie e alla natalità? In quale intervento o misura la vedremo maggiormente esplicitata?

La legge delega è esplicita già nei principi: all’articolo 2 sancisce l’obiettivo di “stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale”, a beneficio delle famiglie soprattutto se includono soggetti fragili. Quanto all’Irpef, si fa riferimento alla necessità di considerare la “composizione del nucleo familiare”. Questo si aggiunge al “Pacchetto Famiglia” della scorsa Legge di bilancio, che evidentemente non è stato un insieme di misure spot, ma l’avvio di una nuova filosofia alla base delle politiche pubbliche. L’Occidente deve contrastare il proprio “inverno demografico” e l’Italia non può tirarsi indietro, anche perché l’alternativa è che l’intero sistema di welfare diventi insostenibile nei prossimi anni. L’immigrazione incontrollata non è la soluzione: bisogna offrire ai giovani gli strumenti per reagire all’incertezza e decidersi a metter su famiglia. Purtroppo, nonostante le tantissime parole al vento, i Governi precedenti hanno fatto poco o nulla; men che meno hanno mostrato una visione di sistema. In questa legislatura arriverà la svolta.

Come risponde alle preoccupazioni di chi ritiene che il Governo e la maggioranza possano favorire l’evasione fiscale o quanto meno non contrastarla adeguatamente?

Questa, purtroppo, è una delle tante falsità propagandate dall’opposizione. C’è tutta la differenza del mondo tra la “spinta gentile” con cui questa riforma invoglia i cittadini a pagare le tasse, spontaneamente e nella consapevolezza che il sistema sarà più efficiente (anche nella spesa), e le dure imposizioni con cui un fisco oppressivo ha spesso perseguitato intere categorie – soprattutto di lavoratori autonomi – per un bieco pregiudizio ideologico. La nostra delega fiscale ha dunque l’effetto opposto: favorisce l’adempimento spontaneo, altro che evasione! Senza contare, poi, che il vertice dell’Agenzia delle Entrate è stato confermato: evidentemente un operato tecnico corretto ed efficace può rinnovarsi con un indirizzo politico ben diverso da quello del passato, anche se certo non più favorevole agli evasori. L’idea è non soltanto il classico “pagare meno, pagare tutti”, ma anche “pagare meglio”, sapendo con certezza quanto si deve all’Erario e magari avendo maggiore tranquillità su come lo Stato impiegherà il gettito. Il Fisco non deve avere ripensamenti sul quantum; i controlli devono essere rapidi; l’incertezza alla base di tanti mancati investimenti in Italia deve ridursi o auspicabilmente scomparire; e tante imprese, dalle più piccole alle multinazionali, dovrebbero potersi dedicare meno alle “politiche di bilancio” – che drenano tante risorse, umane e finanziarie – e più allo sviluppo della strategia aziendale. Va in questa direzione anche la Global Minimum Tax, come anche altre iniziative internazionali cui l’ordinamento italiano darà seguito con la riforma: penso al progetto Beps, che interviene sulle operazioni intragruppo con effetti sulla formazione del reddito d’impresa. Se anche il “mondo nuovo” fiscale che immaginiamo si rivelasse un’utopia, “ci sono insulti peggiori che essere definiti sognatori”, come diceva Reagan. La Delega è un favore agli evasori? Soltanto chi è in malafede potrebbe crederlo.

Si è parlato nelle scorse settimane di pace fiscale ed è emerso anche lo scarso impatto che le rottamazioni hanno finora avuto sul magazzino dei crediti fiscali dell’Agenzia delle Entrate, che hanno raggiunto una cifra superiore ai mille miliardi di euro. Come affrontare il problema di questi crediti, che appaiono in gran parte inesigibili e che rappresentano mancate entrate per il bilancio pubblico?

Non si tratta solo di mancate entrate: sul bilancio pubblico gravano i costi sopportati per la riscossione che non va in porto. Purtroppo, non è facile cambiare quei meccanismi sedimentatisi nel tempo anche a causa di una burocrazia asfissiante. Se i provvedimenti di “tregua” o “pace” fiscale hanno ancora poco successo è perché, purtroppo, al momento restano ancora una goccia nel mare di un fisco ben poco attento alle esigenze e soprattutto alle difficoltà dei contribuenti più deboli, onesti ma in temporanea difficoltà. Con l’ultima Legge di bilancio abbiamo fatto passi da gigante, ma avvertivamo l’esigenza di un intervento strutturale come appunto quello contenuto nella Delega. Siamo fiduciosi che già dalla Manovra d’autunno si possa delineare un sistema che convinca cittadini e imprese sul fatto che il vento è cambiato e – almeno finché governerà il centrodestra – di sicuro non si torna indietro. Nella nostra riforma c’è un cambio di passo che a ragione definiremmo “epocale”. Alcune novità sono strettamente operative.

Per esempio?

Una modulistica più semplice, una nuova disciplina dei benefici fiscali affinché gli errori formali o poco gravi non determinino conseguenze severe, una spinta verso la digitalizzazione anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie (basti pensare all’intelligenza artificiale, con tutti i vantaggi in termini di semplificazione ed efficienza delle procedure), il superamento del “ruolo” e più ampie possibilità di rateizzazione (soprattutto per l’Irpef), l’eliminazione di varie disfunzionalità organizzative, l’estensione del termine di efficacia degli atti di riscossione. Altre parti della riforma, invece, cambiano la “filosofia” alla base dell’ordinamento tributario: viene introdotto il concordato preventivo biennale, una novità rivoluzionaria che ci avvicina ai sistemi fiscali più avanzati come quello svizzero; c’è un ampio rafforzamento della cosiddetta cooperative compliance con meccanismi premiali, tempistiche ridotte e soglie d’accesso più basse; viene strutturato un migliore coordinamento tra le sanzioni penali e quelle amministrative, come pure tra il processo penale e quello tributario; e, infine, l’impianto sanzionatorio diventa più proporzionale nel suo insieme. Nessuno di noi ha la bacchetta magica: ci vorrà tempo – e non solo per l’emanazione dei decreti attuativi – prima che tutto questo si traduca in un’Italia finalmente al passo con i suoi principali competitor in materia di efficienza del sistema tributario. Ma, si sa, una classe politica fatta di “statisti” deve pensare alle prossime generazioni.

Il Pil nel secondo trimestre è diminuito dello 0,3% in Italia. Su cosa può puntare il nostro Paese per evitare, come accaduto per esempio alla Germania, di scivolare in una recessione tecnica?

L’approccio del Governo è strutturale, non congiunturale. Ci sono motivi contingenti dietro alla diminuzione del Pil nel secondo trimestre, ed è ragionevole supporre che già nel prossimo saranno superati, scongiurando così che gli analisti possano parlare di “recessione tecnica”. Peraltro, la variazione per l’intero 2023 stimata sui dati del primo semestre è di un lusinghiero +0,8%: qualcosa in meno delle previsioni, certo, ma possiamo ancora raggiungerle e magari superarle con un’accelerazione nella seconda metà dell’anno. In ogni caso, una crescita ben più sostenuta di quella di Francia e Germania. Cosa possiamo fare? Semplicemente continuare sul sentiero tracciato. Aiutare chi è in difficoltà, senza disperdere denari in mille rivoli di scarsa utilità o anche segnati da profonde ingiustizie – penso al Reddito di cittadinanza e ai bonus edilizi – è l’unica strada per generare un benessere diffuso, che magari passi per un aumento del potere d’acquisto dei consumatori ed eviti il ricorso a manovre fiscali che minaccino la tenuta dei conti pubblici. Abbiamo iniziato a farlo con la Legge di bilancio 2023, largamente dedicata a contrastare l’aumento della spesa energetica per famiglie e imprese; e non ci siamo mai fermati. Senza contare, poi, gli interventi per rendere più competitivi i nostri mercati finanziari: dal ddl capitali, di cui si sta occupando il Senato, a quello sulle start-up, approvato in luglio dalla Camera dopo il via-libera della commissione da me presieduta. L’unico proposito per il futuro è quello di rimboccarsi le maniche, magari con un’opposizione che mostri su ogni provvedimento la stessa disponibilità a collaborare che abbiamo visto per la Delega.

Pensa che il dato sul Pil del secondo trimestre sia frutto anche delle scelte di politica monetaria della Bce?

Sì, l’ho detto in più occasioni. Ho anche trovato curioso che alcuni economisti sottolineino i rischi di contrazione del credito dovuti all’aumento dei tassi, con la conseguente riduzione del margine d’interesse delle banche: è vero, ma appunto accadrà non prima dell’esercizio 2024 o forse 2025, ed è per questo che l’imposta sugli extraprofitti si riferisce agli aggregati di conto economico del biennio 2022-23. Sappiamo che i prossimi anni saranno duri per tanti prenditori di fondi, se la Bce non cambia direzione. Per questo dobbiamo fare il massimo per mettere “qui e ora” più soldi nelle tasche degli italiani e magari renderli meno dipendenti dal canale bancario: solo così eviteremo quell’ondata di esposizioni deteriorate che già inizia a manifestarsi per effetto delle sciagurate politiche dell’era Covid. Francoforte, da ormai un anno, compie scelte del tutto opposte rispetto a quelle che servirebbero, e la discesa dei prezzi è molto più debole del previsto. Anzi, è notizia di alcuni giorni fa che a livello Ue le aspettative inflazionistiche di lungo periodo hanno raggiunto i massimi dal 2010: altro che 2% nel medio periodo come da mandato Bce! C’era dunque bisogno di somministrare una cura che rischia di uccidere il paziente? Direi di no; e, pur avendo già sperimentato qualcosa di simile in passato sul piano fiscale, non sembra che abbiamo imparato granché. Capisco che a Francoforte vogliano espiare l’errore opposto commesso fino a poco tempo fa, quando i tassi erano su livelli minimi o addirittura negativi e venivamo inondati di liquidità per fronteggiare la pandemia; ma ci vuole equilibrio. E, soprattutto, non si può essere insensibili alle condizioni in cui versa gran parte della popolazione. Abbiamo un tessuto produttivo che dipende molto dal credito bancario; abbiamo tanti piccoli risparmiatori che hanno investito in obbligazioni dell’Eurozona, immobili o altri asset comunque sensibili al livello dei tassi. Non è difficile capire quanto l’attuale politica monetaria ci danneggi, purtroppo.

Si avvicina la messa a punto della Nadef e della successiva Legge di bilancio. Ci può dire quale misura o intervento ritiene importante ci sia all’interno della manovra per il prossimo anno?

Direi che non esisterà un provvedimento-simbolo, perché non siamo abituati a ragionare come i Cinque Stelle assetati di consenso elettorale. Abbiamo il mandato popolare per assumere decisioni anche politicamente difficili, se queste fanno bene all’Italia. L’anno scorso abbiamo dovuto trovare una mole considerevole di coperture per frenare l’emergenza energetica; quest’anno avremo qualche spazio di manovra in più, ma con risorse non certo illimitate. Sappiamo quali sono le stelle polari: la legge delega per la riforma del fisco e il programma votato dagli italiani. La politica economica del Governo è in mano a persone di grande competenza, che hanno già mostrato di essere all’altezza della complessità delle sfide. E la maggioranza è compatta come mai prima d’ora: nessun “assalto alla diligenza” in vista; nessuno spazio per interessi particolari che impegnino i soldi dei contribuenti. Possiamo, anzi dobbiamo, avere fiducia.

(Lorenzo Torrisi)

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