L’urgenza della riforma fiscale è sotto gli occhi di tutti, ma ci sarà solo dal 2022. Le parole del ministro Gualtieri secondo cui “le tasse non aumenteranno ma si ridurranno l’anno prossimo, ci sarà a regime per 12 mesi la riduzione sostanziale dell’Irpef attraverso l’estensione annuale della riduzione del cuneo fiscale che quest’anno è partita a luglio, e ci sarà la fiscalità di vantaggio per il Sud per tutto l’anno…” rendono chiaro che il cantiere della riforma è ancora un miraggio. Oggi l’attenzione si concentra sulla lotta all’evasione e sul cashless da cui trarre risorse per “ridurre” le tasse nel breve periodo.
Sulla lotta all’evasione non ci soffermiamo. Apparentemente non si riesce a incidere più di tanto e il presunto ammontare, 100 miliardi di euro annui, rimane tale nonostante i diversi interventi posti in essere. Il cashless invece è un meccanismo che mira a restituire una percentuale, pari al 10% e con tetto massimo annuo fissato a 3.000 euro, della spesa sostenuta attraverso strumenti di pagamento tracciabili. L’obiettivo è chiaro: incrementare i piccoli pagamenti tracciati, evitando di erogare il rimborso a chi fa poche grandi transazioni. In pratica gli importi superiori ai 150 euro verrebbero neutralizzati considerandoli per soli 150 euro.
Nelle intenzioni l’uso della moneta elettronica dovrà far emergere un’abbondante base imponibile. Nel breve periodo, dunque, la scommessa del Governo è incentivare i pagamenti tracciabili – già cresciuti con l’emergenza coronavirus – nella speranza che tutto ciò intacchi davvero i 109 miliardi di imposte evase (ultima stima contenuta nella Nadef). In attesa di verificare l’efficacia di questi interventi, la pressione fiscale non accenna a diminuire attestandosi al 42,6% nel 2023 (uno studio pubblicato in questi giorni dai commercialisti la quantifica addirittura nel 48,2%).
Ritornando alla riforma fiscale è facile osservare che le recenti esperienze degli Stati generali dell’economia e della cosiddetta Commissione Colao non hanno avuto nessun impatto di ordine pratico. A oggi sembra che la riforma si baserà sulla rimodulazione degli scaglioni Irpef con un occhio all’esperienza tedesca. Il Presidente di Confindustria ha più volte sottolineato che la rimodulazione delle aliquote o degli scaglioni mantenendo la progressività non è una riforma fiscale. Non viene, infatti, modificata l’imposta nel suo funzionamento e neanche l’impatto generale che questa ha sul sistema fiscale. Ne risulterebbe modificata, infatti, solo la quantificazione dell’imposta da riscuotere.
Il dubbio che si va sempre più consolidando e che i lavori incorso siano fondamentalmente una riforma della riscossione piuttosto che una riforma fiscale. In questi ultimi anni abbiamo visto nascere il fisco telematico: trasmissione telematica delle certificazioni uniche, le fatture elettroniche, i corrispettivi telematici, il 730 precompilato, e vedremo la Dichiarazione Iva precompilata e probabilmente altro. In questi ultimi mesi i vertici dell’Agenzia delle Entrate hanno proposto, per superare l’ingorgo fiscale che ogni anno si palesa in occasione dell’appuntamento dichiarativo, di sostituire con versamenti mensili delle imposte il meccanismo del saldo e dell’acconto delle imposte dovuto dagli autonomi. Se ciò comporterà nuovi adempimenti non se ne sente il bisogno, specie in questo momento in cui all’orizzonte vi sono ulteriori limitazioni allo svolgimento delle attività produttive.
Completano il quadro degli interventi non strutturali e di breve periodo il super cashback e la lotteria degli scontrini fiscali. Il primo “intervento” consiste in un “premio” di 3.000 euro riservato ai 100.000 cittadini che effettueranno il maggior numero di transazioni elettroniche in un anno. Il secondo intervento, la lotteria degli scontrini fiscali, scatterà dal 1° gennaio 2021 ed è riservata a chi fa acquisti comunicando all’esercente il proprio “codice lotteria” e potrà concorrere anche chi paga con le banconote, ma avrà meno chance di vincita.
Resta da vedere se la riduzione del contante avrà effetti anche sull’evasione. Un report della Fondazione consulenti del lavoro ha evidenziato come diversi studi hanno rilevato che “la limitazione all’uso del contante da sola sia insufficiente a contrastare fenomeni come l’evasione”. Secondo, invece, una ricerca dello Studio Ambrosetti, l’aumento dei pagamenti tracciabili già in atto porterebbe allo Stato al 2025 un maggior gettito annuo di 3,4 miliardi, destinato a salire a 4,5 con il piano Italia cashless.
Non si può fare ameno di sottolineare come il successo dell’operazione del Governo dipenderà da quanto le cifre incassate con mezzi tracciabili verranno dichiarate al fisco e da quanto il fisco stesso sarà efficace nell’individuare chi non le dichiara. Analoga battaglia andrà condotta nei confronti dei grandi player del web che sfuggono in alcuni casi a ogni tassazione perché fiscalmente apolidi.