Il Senato a grande maggioranza ha votato sì: la riforma dell’ordinamento giudiziario è legge. Non va bene a nessuno, tutti la criticano, tanti dicono che si poteva fare di più e meglio, ma intanto il Governo ha portato a casa un altro tassello della riforma della giustizia. Forse il più importante.
Dopo la riforma del codice di procedura penale, che consentirà la celebrazione di processi più veloci, e la riforma del codice penale, che prevede pene meno afflittive (meno carcere e più misure alternative), ecco la riforma dell’ordinamento giudiziario. La Lega e Renzi volevano più coraggio e riforme più radicali, mentre la magistratura ha protestato (e scioperato), lamentando un attacco alla sua indipendenza. Ma il ministro Cartabia non si è fermata e ha realizzato una riforma epocale, la migliore che oggi era possibile ottenere.
Negli ultimi decenni, da Mani Pulite in poi, ogni cambiamento era stato bloccato e la politica, grazie anche alle proprie divisioni interne, si era dimostrata incapace di imporsi. Ci volevano Draghi e i suoi ministri per cambiare le cose.
La riforma non solo arriva laddove i referendum hanno fallito, ma è andata anche oltre. È stato approvato un nuovo meccanismo elettorale della componente togata del Consiglio superiore della magistratura che, non prevedendo più la necessità per i candidati di avere dei giudici “presentatori”, nelle intenzioni del legislatore dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) impedire le cordate guidate dalle correnti. Certo, il sistema del sorteggio (osteggiato da molti) avrebbe offerto più garanzie, ma è stato sacrificato sull’altare del compromesso: oggi, però, a differenza di ieri a ogni magistrato stimato dai colleghi dovrebbe essere consentito di approdare al Csm anche senza essere organico ad una corrente.
E ancora, la riforma ha posto un freno alle cosiddette porte girevoli: un magistrato non potrà candidarsi alle elezioni nel territorio ove ha svolto il suo lavoro e, se avrà ricoperto cariche amministrative o parlamentari, non potrà tornare a fare il giudice.
Rafforzata anche la separazione delle funzioni (altro argomento oggetto di uno dei recenti quesiti referendari): un pubblico ministero potrà decidere di fare il giudice e viceversa una sola volta nella vita e non quattro come oggi gli è consentito.
Novità anche per i consigli giudiziari (gli organismi a composizione prevalentemente togata che si occupano di far funzionare i tribunali e di dare pareri sulla laboriosità dei magistrati): agli avvocati, seppur con qualche limite a differenza di oggi, sarà consentito di partecipare alle riunioni ove si discutono le valutazioni di professionalità dei magistrati (andando così a ottenere il risultato perseguito dal quesito referendario).
Cambiano anche i criteri utilizzati per le valutazioni di professionalità dei magistrati: a differenza di quanto accade oggi, si dovrà fare ricorso non più solo ad alcuni, ma a tutti i provvedimenti emessi da ogni giudice e ciò per consentire pareri più oggettivi di quelli espressi oggi (che, come evidenziato da fonti governative, sono positivi per ben il 98% dei giudici italiani). Questo nuovo meccanismo consentirà valutazioni più obiettive e favorirà la nomina a capi degli uffici dei più meritevoli.
E la nomina a capi degli uffici (presidenza del Tribunale o della Corte di appello, eccetera) avverrà ora attraverso selezioni più rigorose, previe audizioni dei candidati e dopo l’acquisizione dei pareri anche dei Consigli degli Ordini degli avvocati: insomma, dovrebbero ora far carriera solo i più meritevoli.
Come si vede i cambiamenti sono numerosi e di rilievo. Le norme in tema di elezioni de Csm, di separazione delle funzioni e di porte girevoli entreranno subito in vigore. Trattandosi, quella appena approvata, anche di una legge delega, le altre riforme richiederanno l’elaborazione da parte del Governo di appositi decreti legislativi. Ma il più è fatto. E non è poco.
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