Sul Mes – del quale ieri notte l’Eurogruppo ha dato il via libera alla riforma – continua a regnare una certa confusione indotta, direi quasi creata ad arte, in maniera tale che il cittadino non riesca a rendersi conto quanta parte di responsabilità avrà la politica in relazione alle decisioni che riguardano questa istituzione.
Mi riferisco, ovviamente, “al” Mes, ad un unico Mes, non a due Mes come, invece, altri commentatori si ostinano a fare, perché il Mes è uno e uno solo. Su questo è necessario fare chiarezza una volta per tutte.
Non esiste un Mes “sanitario” e un Mes “non sanitario”; non esiste un Mes “buono e senza condizionalità” e un Mes “cattivo con le condizionalità”: esiste “il Mes”, con le sue regole, con il suo Trattato istitutivo, con il suo regolamento interno e con le sue linee guida, che disciplinano tutte le forme di finanziamento da esso erogate, inclusa quella alla quale è stato dato il nome di Pandemic Crisis Support, l’assistenza finanziaria pandemica, che è una “linea di credito che è sempre esistita presso il Mes, ma che finora non è mai stata attivata” e che si chiama Eccl (come ha puntualizzato lo stesso segretario generale del Mes il 22 aprile scorso).
Una linea di credito che, come tutte le altre, è soggetta a tutte le condizionalità previste sia dalla normativa Mes, sia dalla disciplina sovranazionale sulla governance economica che include anche il “famigerato” Regolamento Ue 472/2013.
Cosa vuol dire tutto ciò? Comprenderlo non è difficile, anzi, direi che è piuttosto semplice: basta leggere le norme. E le norme ci chiariscono che lo Stato che usufruirà della linea di credito pandemica sarà soggetto a una sorveglianza rafforzata ad essa commisurata e proporzionata, diversamente da quanto continuano ad affermare coloro che sostengono, incautamente e ingannevolmente, che la sorveglianza rafforzata non sarà applicata al cosiddetto “Mes sanitario”. E ci saranno anche le condizionalità, perché, come scritto inequivocabilmente nella normativa Mes, gli Stati che beneficeranno di una Eccl (come è, appunto, l’assistenza finanziaria pandemica) dovranno adottare tutte le misure correttive volte ad evitare problemi futuri per quanto concerne l’accesso ai mercati finanziari e assicurare il costante rispetto dei parametri in base ai quali la linea di credito è stata concessa.
Questo, in termini assai semplificati, è quanto limpidamente previsto dalle norme.
Ma anche ad ammettere, solo per un momento, che esista un’unica condizione alla quale dovranno sottostare gli Stati che chiederanno al Mes l’erogazione dell’assistenza finanziaria pandemica, la condizione, cioè, di spendere questi con il vincolo relativo alla spesa per la sanità, cosa accadrà dopo? Ancora una volta, se non vogliamo continuare a ingannarci, dobbiamo rispondere leggendo le norme che sono chiarissime e ci dicono che le condizionalità potranno essere cambiate in qualunque momento, in maniera unilaterale, dal Mes stesso.
C’è poi l’altro tema del quale oggi si sta dibattendo: la riforma del Trattato istitutivo del Mes, che tocca molti importanti aspetti fra i quali mi limito a segnalarne due.
In primo luogo, l’integrazione dell’Unione bancaria europea, volta ad attenuarne alcune disfunzionalità. Il secondo pilastro dell’Unione bancaria europea, infatti, ha previsto l’istituzione del Fondo di risoluzione unico, con lo scopo di finanziare gli strumenti per salvare le banche in crisi grazie ai contributi versati dallo stesso settore bancario. Questo Fondo, però, può intervenire soltanto dopo che sia stato applicato il famoso bail-in, che è quel meccanismo che prevede che le banche in dissesto siano salvate prima di tutto usando i soldi “interni alla banca”, quindi i soldi degli azionisti, obbligazionisti e correntisti (oltre i 100mila euro). Il Fondo non può ricapitalizzare la banca in crisi o coprirne direttamente le perdite ed è qui che si colloca la modifica del trattato Mes, che, in questa sua “nuova” versione avrà anche la funzione di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico, fungendo, quindi, da prestatore di ultima istanza.
La conseguenza? Che in questo modo il rischio di azzardo morale cacciato dalla porta rientra dalla finestra.
Il secondo aspetto fondamentale della modifica del Trattato Mes riguarda il fatto che con essa si decreta definitivamente l’esistenza di Paesi di serie A e Paesi di serie B.
Infatti, gli Stati virtuosi che rispettano i criteri di cui all’allegato III (rapporto deficit/Pil sotto il 3%, rapporto debito/Pil al 60%, ecc.) potranno accedere a una linea di credito condizionale precauzionale semplicemente inviando al Mes una lettera di intenti, dove si impegnano a rispettare i suddetti criteri. Gli Stati che non rispettano quei criteri, invece, potranno accedere soltanto a una linea di credito soggetta a condizioni rafforzate per la quale è richiesta la negoziazione e sottoscrizione di un Protocollo di intesa che dovrà contenere le condizionalità cui dovranno sottostare.
Spetterà al Mes valutare la sostenibilità del debito pubblico, il rispetto delle condizionalità e la capacità di rimborso del singolo Stato beneficiario, comprimendo di fatto il “peso” della Commissione europea e godendo di “una sufficiente discrezionalità” (art. 13) in quanto svolgerà tale analisi “dalla prospettiva del prestatore” (cons. 5 ter), cioè del creditore che, quindi, sarà presumibilmente più interessato alla restituzione delle somme prestate che alle sorti del debitore, con buona pace del principio solidaristico da più parti invocato e, soprattutto, con il rischio che la valutazione effettuata da parte degli Stati creditori sia più severa di quella che prima era riservata alla Commissione europea.
Insomma, il Mes ha sempre avuto, ha, ed avrà ancor di più dopo la modifica del suo Trattato istitutivo, una sola funzione, un solo obiettivo: quello di garantire la stabilità finanziaria. Con quale rischio? Quello di diventare un organismo attento solo alla finanza, senza avere un più ampio respiro politico. Quindi neanche più un fondo “salva Stati” e, men che meno, un fondo “salva salute”.