Com’è noto, tra le novità in Legge di bilancio vi è lo stanziamento – da confermare – di oltre 3 miliardi di euro, entro il 2021, per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Si tratta di risorse che si aggiungono ai 2,53 miliardi che saranno a carico delle amministrazioni territoriali per il settore non statale degli enti locali. Dunque, il computo totale delle risorse per il nuovo contratto dei 3,3 milioni di dipendenti pubblici si attesta attorno ai 5,7 miliardi di euro.
Il nuovo contratto, che coprirà il triennio 2019-2021, va a rinnovare il precedente accordo 2016-2018, firmato a dicembre 2017, che seguiva a oltre otto anni di blocco. E che, più che altro, ristabiliva un contatto di relazioni di lavoro tra Governo e sindacati per quanto concerne il pubblico impiego.
Nel caso odierno, la sfida è più rilevante ed è quella di riscrivere il sistema di classificazione professionale per lavoratrici e lavoratori del comparto delle funzioni centrali, individuando nuove tutele normative e nuove possibilità economiche e professionali. Nei prossimi cinque anni, infatti, vi sarà un forte turnover nell’organizzazione della Pubblica amministrazione che porterà quasi un terzo dei lavoratori a fuoriuscire. Ecco perché diventa fondamentale, per un cambiamento che non sia solo anagrafico, stimare e valorizzare le competenze presenti nelle funzioni centrali in modo di distribuirle nel modo più adatto per l’intera macchina della Pa. Ciò comporta un importante lavoro di bilancio delle competenze presenti e l’individuazione di nuove modalità di passaggio e di progressione economica tra le aree.
Per mettere a fuoco queste idee, il sindacato della Funzione Pubblica della Cisl di Milano ha in questi giorni riunito il suo gruppo dirigente a Tartano (provincia di Sondrio), in quel luogo così colpito dall’alluvione in Valtellina dell’87 e in quella struttura – La Gran Baita – che dalla colata di fango era stata distrutta e privata di 11 vite. Luoghi e strutture ferite, ma capaci di rialzarsi e di reagire in fretta, tanto che oggi la Valtellina è provincia dinamica e vivace, tra quelle che meglio hanno resistito alle intemperie della recente crisi economica e più in grado di rinnovarsi (si considerino a tal proposito, in particolare, il comparto metalmeccanico, quello alimentare e quello chimico-farmaceutico).
Il rinnovamento, anche della Pa, non può non ricevere un impulso forte dalla città di Milano. Non a caso da tempo di parla di “metodo Milano” e, come già visto in altre situazioni, è Milano a essere guida dell’innovazione.
Vi sono varie ragioni, inoltre, per cui la “città nel mezzo” (Mediolanum, nomen omen) sia una delle capitali europee più indicate a rappresentare l’intero Vecchio continente: l’innovazione ma anche la posizione, l’intelligenza produttiva, la tensione all’eccellenza, il welfare che raccorda pubblico e privato, ecc.
La sfida della trasformazione dell’economia e del lavoro riguarda anche la Pa che, soprattutto in una città cosmopolita come Milano, vive il cambiamento come circostanza per rendere i servizi sempre più efficienti. Ciò significa, in primis, affermare la centralità della persona nella macchina amministrativa.
È questa, soprattutto, la sfida del rinnovo contrattuale del lavoro pubblico che arriva dalla Terra di mezzo: da Milano, ma anche dalla Val Tartano, ponte tra la Valtellina e la Val Brembana. Forse è proprio questa caratteristica mediana a essere fattore capace di liberare eccellenza.
Twitter: @sabella_thinkin