All’Ecofin in programma domani a Stoccolma si preannuncia una discussione piuttosto accesa sulla nuova proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita presentata mercoledì dalla Commissione europea.

Per la Germania, infatti, è troppo morbida, mentre il ministro dell’Economia Giorgetti ha evidenziato che la richiesta italiana di escludere dalla spesa oggetto dei calcoli sul rispetto del percorso di riduzione del debito pubblico gli investimenti, “inclusi quelli tipici del Pnrr su digitale e green deal”, non è stata presa in considerazione. Bruxelles, nel tentativo quindi di mettere insieme le proprie indicazioni formulate lo scorso novembre e la proposta avanzata nei giorni scorsi da Berlino, rischia alla fine di non accontentare nessuno, ma di penalizzare pesantemente l’Italia.



Come spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, infatti, «è apprezzabile lo sforzo del commissario agli Affari economici Gentiloni, ma non vorrei che nascondesse solo il tentativo di addolcire una pillola che in realtà è amarissima».

In effetti, un miglioramento c’è stato: si è passati da una riduzione del debito/Pil di almeno un punto all’anno prevista dalla proposta tedesca alla necessità di un aggiustamento fiscale di mezzo punto per quei Paesi in cui il deficit/Pil supera il 3%.



Sì, apparentemente lo 0,5% del Pil sembra poco, ma se ci pensiamo bene per l’Italia si tratterebbe di circa 10 miliardi di euro: risorse che andrebbero sottratte alla spesa pubblica per procedere a un aggiustamento fiscale. Dove andremmo a tagliare? Interveniamo sugli stipendi dei dipendenti pubblici? Oppure riduciamo i fondi per servizi in natura come la sanità?

Questo aggiustamento dovrebbe scattare solo nel caso di un disavanzo superiore al 3% del Pil…

Che, però, potrebbe essere determinato dalla necessità di contrastare un ciclo economico sfavorevole o da interventi a sostegno di famiglie e imprese contro il caro bollette, come si è visto l’anno scorso. In ogni caso, al di là di questa clausola che scatta solo nel caso di sforamento del 3%, nell’impianto della nuova proposta della Commissione sembrano esserci altri meccanismi penalizzanti.



Quali?

Si dice che nel caso di deviazione dal percorso di aggiustamento di bilancio concordato verrà automaticamente aperta una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro. Inoltre, quest’ultimo non potrà rimandare gli aggiustamenti di bilancio a una data successiva e questo varrà anche per le riforme e gli investimenti necessari. Tutto questo sembra far presagire che il processo di risanamento dei conti non contempli la possibilità di favorire la crescita. In questi ultimi anni, come pure nella proposta di Bruxelles, le parole chiave sono state riforme e investimenti, ma la diminuzione di spesa pubblica che viene richiesta rischia di frenare sia le riforme che gli investimenti. Oltretutto mi sembra evidente che questo impianto mette nelle mani della Commissione un ampio potere.

A partire dalla determinazione del percorso di aggiustamento di bilancio. Sembra difficile non pensare che l’ultima parola sul traguardo da raggiungere non spetterà alla Commissione.

Sì e questo è davvero anti-europeo. Si possono commettere degli errori, ma se siamo in un’Unione bisognerà pure che ci sia un dialogo, non si può imporre il raggiungimento di un obiettivo, altrimenti si torna ai tempi della grande austerità: lo facciamo perché lo vuole Berlino.

Gentiloni ha evidenziato che uno degli obiettivi della proposta di riforma della Commissione è “rendere possibile l’incremento degli investimenti”. Non è una contraddizione tenendo conto di quello che diceva poco fa sul rischio che la riduzione della spesa pubblica comporti un taglio degli investimenti?

Sì, è una contraddizione. Se pensiamo alla vita quotidiana dei cittadini, prendiamo per esempio la sanità, tutto questo significa che anziché migliorare un servizio pubblico si porterà avanti uno spostamento oramai già visibile dal pubblico al privato. Se la sanità deve diventare un business e non un servizio pubblico almeno l’Europa lo dica chiaramente.

Nella proposta si parla di clausole di salvaguardia anche per singoli Paesi, il che fa pensare alla possibilità che possa essere consentita la deviazione dagli obiettivi di risanamento dei conti in caso di una grave recessione o di circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro. Tuttavia, la decisione in merito all’attivazione di queste clausole spetterà al Consiglio europeo sulla base di una raccomandazione della Commissione. Di fatto, quindi, il singolo Stato membro non avrà voce in capitolo nemmeno su questo…

No, non ce l’avrà. Spero di esagerare, ma mi sembra proprio che si stia tornando ai tempi della crisi greca, per cui si devono attuare certe misure perché lo vuole Berlino. Ripeto, c’è il rischio che nei servizi essenziali il pubblico venga sostituito dal privato, ma questo non può essere giustificato sostenendo che altrove grandi organizzazioni private già erogano tali servizi, perché solitamente, a partire dagli Stati Uniti, questi Paesi spendono comunque molto nel pubblico.

(Lorenzo Torrisi)

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