Tra meno di tre mesi, il 1° gennaio 2024, verrà disattivata la clausola di salvaguardia che sospende le regole del Patto di stabilità e crescita, sulla cui riforma ancora non si è trovato un accordo tra tutti i Paesi membri dell’Ue. La Spagna, in qualità di Presidente di turno, ha in questi giorni messo a punto una proposta, che verosimilmente sarà discussa anche al Consiglio europeo di Granada al via domani, contenente una golden rule sugli investimenti pubblici più ampia di quella chiesta dall’Italia e due ipotesi di riduzione del debito pubblico su Pil, una spalmata su un periodo di 14-17 anni, l’altra con un obiettivo minimo annuale nello stesso arco di tempo. Il documento di Madrid è stato ben accolto dall’Italia, mentre non sembra aver convinto la Germania, che nei mesi scorsi aveva presentato una sua proposta di riforma alternativa a quella avanzata dalla Commissione europea. Abbiamo chiesto un commento all’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
La proposta spagnola vuol essere un compromesso. È realmente tale? Riesce a tenere insieme le richieste dei Paesi membri e della Commissione?
La proposta spagnola parte da quella della Commissione rispetto alla quale suggerisce alcuni correttivi nel tentativo di sintetizzare il confronto che si è aperto negli ultimi mesi fra i due gruppi di Paesi che vengono impropriamente riferiti come “Nord” e “Sud” dell’Unione. In estrema sintesi, fornisce maggiore flessibilità dal momento che prevede lo scorporo delle spese per investimento e per la difesa dal computo del deficit. Al tempo stesso, introduce un obbligo di correzione del debito per i Paesi con che vantino un rapporto debito/Pil in eccesso del 60%. Trattandosi di una proposta preliminare, mancano i parametri numerici che inevitabilmente rifletteranno il peso relativi dei due schieramenti di cui sopra.
Se questa proposta fosse approvata, quale sarebbe concretamente l’effetto per l’Italia? Cosa potrebbe cambiare, per esempio, rispetto all’impostazione di finanza pubblica appena varata con la Nadef?
Nella misura in cui la proposta spagnola consente lo scorporo delle spese di investimento e della difesa, viene senz’altro incontro alle richieste italiane formulate ripetutamente in sede europea. Essa introdurrebbe anche una maggiore coerenza tra il NextGenEU – e gli investimenti che finanzia – e, appunto, la condizionalità fiscale. L’impatto naturalmente dipenderà dal valore che verrà assegnato alle soglie di esenzione per gli investimenti e le spese per la difesa come pure a quella di riduzione del debito.
Per l’Italia sarebbe una proposta migliore rispetto sia a quella della Commissione che della Germania?
La posizione tedesca tende a privilegiare l’obiettivo di riduzione annuale del debito rispetto a un percorso di stabilizzazione fiscale in un orizzonte di medio periodo. In quanto tale, è più in linea con l’approccio rigorista, ma anche formalistico, di Maastricht che, però, non ha dato i risultati attesi come sappiamo. Peraltro, la proposta spagnola, nel riconoscere uno status speciale agli investimenti, viene incontro ai Paesi con problemi cronici di crescita. Tuttavia, non dobbiamo neanche essere troppo accondiscendenti. Poiché l’Italia ha un problema strutturale di crescita, è lì che bisogna agire in primo luogo per alimentare la sostenibilità del debito e stabilizzare le aspettative dei mercati. Avere una maggiore flessibilità sul numeratore (deficit) aiuta, tuttavia se il denominatore rimane costante non c’è flessibilità che tenga.
La proposta viene da un Governo a guida socialista, come pure socialista è il Cancelliere tedesco. Come mai la Germania allora la frena? Significa che nemmeno le “grandi famiglie” europee sono in grado di far superare le posizioni e gli interessi delle singole nazioni?
Effettivamente c’è una tensione irrisolta. Non è l’unico campo peraltro; basti pensare alle diverse e contraddittorie posizioni di Berlino sulla crisi migratoria.
Quella spagnola potrebbe essere una base per un’ulteriore proposta in grado di trovare l’accordo di tutti i Paesi? Nel caso, tramite quali modifiche?
La proposta spagnola ha il potenziale di contestualizzare le regole fiscali alle economie dell’Eurozona che presentano un grado di sostanziale eterogeneità. Ha anche il potenziale di rispondere alle criticità del momento evitando che le spese militari per proteggere la nostra libertà entrino nel tritacarne della vecchia impostazione. Ma molto dipenderà dalla misura in cui l’esito finale del confronto uscirà rispettoso dei principi che l’hanno ispirata: orizzonte di medio termine nella stabilizzazione fiscale; riconoscimento di uno status speciale alle spese per investimenti e per la difesa.
Si riuscirà davvero a trovare la quadra su una proposta di riforma del Patto di stabilità entro la fine dell’anno? Cosa significherebbe tornare alle vecchie regole con un’economia europea in rallentamento e una politica monetaria ancora restrittiva?
Ritengo probabile che un compromesso alla fine verrà raggiunto, anche se non saprei dire quanto lontano dai principi ispiratori della proposta spagnola che già è di mediazione. L’alternativa di una reintroduzione del Patto nella sua precedente configurazione sarebbe, poi, una sconfitta politica per la Commissione, la cui Presidente intende ricandidarsi per un nuovo mandato. Per l’Italia, la mancata riforma avrebbe conseguenze drastiche rispetto alla Nadef appena presentata che prevede il raggiungimento del 3% di deficit rispetto al Pil (2,9% per l’esattezza) solo nel 2026. Con uno spread appena sotto i 200 punti base, occorre comunicare bene ai mercati la strategia fiscale e renderla maggiormente ambiziosa perché il superamento della soglia psicologica dei 200 punti va assolutamente evitata. In tal senso, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una credibile stabilizzazione fiscale nel medio termine con o senza Patto.
(Lorenzo Torrisi)
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