Tra meno di una settimana, in occasione delle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin in programma a Stoccolma, si potrebbe tornare a parlare di riforma del Patto di stabilità e crescita. La Germania, che a metà marzo era riuscita a non far approvare la proposta formulata a fine novembre dalla Commissione europea, nei giorni scorsi ha avanzato una controproposta, che ha anche l’obiettivo di creare un quadro di governance fiscale semplice e trasparente, senza l’uso esclusivo delle analisi di sostenibilità del debito. In particolare, Berlino focalizza l’attenzione sul livello della spesa primaria netta, che, per i Paesi più indebitati, non dovrebbe comunque aumentare più della crescita potenziale.
Per fare in modo, invece, che il debito/Pil diminuisca viene proposto un limite inferiore vincolante che per gli Stati membri a debito elevato come il nostro dovrebbe essere pari a un punto percentuale l’anno.
L’Italia, intanto, come si legge nel Def, nell’ambito della riforma del Patto di stabilità e crescita propone “l’adozione di un trattamento preferenziale per gli investimenti pubblici per contrastare i cambiamenti climatici e promuovere la transizione digitale (i due pillar del Pnrr), nonché la spesa per la Difesa derivante da impegni assunti nelle sedi internazionali”.
E Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, non può non notare che lo stesso Documento di economia e finanza 2023 “sembra portarsi già avanti rispetto al dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, dato che mostra una visibile attenzione ai conti pubblici, più ancora della Legge di bilancio”.
Professore, cosa pensa dei due punti principali della proposta tedesca?
Partiamo dal limite posto alla spesa primaria netta dalla crescita potenziale. Tra queste due variabili, l’unica veramente quantificabile è la prima. Tuttavia, è influenzabile da fattori esogeni, come il livello dei tassi di interesse.
Trattandosi di spesa primaria netta, non vengono però conteggiati gli interessi sul debito, influenzati dai tassi di interesse…
Questo è vero, ma la spesa primaria netta comprende voci che sono comunque influenzate dal livello dei tassi, come gli investimenti, e risente in qualche modo della quantità di risorse che deve essere destinata al servizio del debito. Giusto per capirsi, se aumentano gli interessi da garantire sui titoli di stato, è chiaro che ci saranno meno risorse a disposizione per la spesa pubblica, a meno di non pensare di incrementare ulteriormente il debito. Detto questo sulla spesa primaria netta, non si può trascurare un problema non indifferente relativo alla crescita potenziale.
A che cosa si riferisce?
Già negli scorsi anni si sono consumati degli scontri tra Roma e Bruxelles riguardo il calcolo della crescita potenziale. Basti pensare che per la Commissione europea l’Italia era vicina al pieno impiego della capacità produttiva quando aveva un tasso di disoccupazione superiore all’11%, una follia.
Sembra contraddittorio parlare della necessità di una governance fiscale semplice e trasparente e proporre poi l’utilizzo di un parametro che si presta a diverse interpretazioni…
Esatto. Tornando alle discussioni del passato, nonostante l’evidente sfida alla ragionevolezza del calcolo della Commissione, non c’è stato verso di avere quanto meno un dibattito. Questo mi porta anche a riflettere su un punto importante della riforma del Patto di stabilità che deve essere affrontato.
Quale?
La governance. La domanda centrale è quale deve essere la dinamica dei rapporti tra Bruxelles e uno Stato membro: se ci sono dei punti di vista diversi cosa succede? Se almeno tra le due istituzioni esiste un obiettivo comune è comunque possibile fare passi in avanti, altrimenti c’è il rischio che, per quella che è la situazione attuale, conti solo il parere della Commissione europea. Mi sembra, inoltre, importante non trascurare la necessità di trovare una combinazione ottimale tra politica fiscale e politica monetaria, quest’ultima in capo alla Bce.
Vede qualche altra opportunità di miglioramento nella riforma del Patto di stabilità e crescita?
In questi mesi stiamo vedendo quanto possa essere importante il saldo della bilancia commerciale. Non è decisamente positivo, infatti, avere contemporaneamente un tasso di inflazione elevato e un disavanzo delle partite correnti. Occorrerebbe, dunque, fare in modo di tenere conto dell’avanzo/disavanzo della bilancia commerciale di un singolo Paese, anche perché poi esso incide sulla bilancia commerciale complessiva dell’Ue.
Torniamo alla proposta tedesca. Cosa pensa delle richiesta, per i Paesi a debito elevato, di una riduzione del debito/Pil di almeno un punto percentuale l’anno?
Ci vuol poco a raggiungere questo traguardo quando si è in una situazione di vera crescita, ma diventa già più complicato nel caso di una crescita asfittica o addirittura proibitivo in un contesto recessivo. Non si può non tener conto di tutto ciò, dato che la proposta così come formulata sembra dover valere sempre, qualunque sia la congiuntura economica.
Nella proposta tedesca sembra trovare spazio la promozione di investimenti pubblici green. Anche l’Italia chiede un trattamento preferenziale per alcuni investimenti pubblici.
Esiste una dichiarata disponibilità da parte della Commissione a prendere in considerazione alcuni investimenti pubblici, che per un Paese come l’Italia rappresentano ossigeno per la crescita e la possibilità di recuperare quello che non è possibile fare completamente con il Pnrr.
A suo avviso l’Italia dovrebbe quindi chiedere una golden rule per tutti gli investimenti pubblici e non solo per alcuni di essi e per la spesa per la Difesa?
Sì. Gli investimenti sono la linfa vitale di quella crescita di cui abbiamo bisogno sia in Italia, in modo pressante, che in tutta Europa.
(Lorenzo Torrisi)
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