A Bruxelles è cominciata l’ultima fase della battaglia sul Patto di stabilità che porta con sé una battaglia minore, ma non meno importante, sul Meccanismo europeo di stabilità di cui l’Italia non ha ancora approvato la ratifica. Parametri del Patto e Mes vengono posti dal Governo Meloni nello stesso paniere con il rischio di rompere entrambe le uova. Sia Christine Lagarde, sia Ursula von der Leyen hanno detto in modo semplice e chiaro a tutti che allo stato attuale si torna alle vecchie norme del Patto, ripristinando i due numeretti fatali: 3% del Pil come limite al deficit pubblico, 60% del Pil come tetto al debito. Quest’ultimo non potrà mai essere rispettato dall’Italia e resterà nei prossimi anni attorno al 141%, il peggiore dell’Unione Europea; il deficit, secondo le previsioni del Governo, è al 5,3% quest’anno, al 4,3% l’anno prossimo e al 3,6% nel 2025. Tutto questo se sarà realistica la crescita programmata, ma anche il modesto più 0,8% del Pil appare troppo ottimistico alla maggior parte degli analisti. La Confindustria ieri ha pubblicato il suo ultimo bollettino e prevede un aumento del Pil dello 0,5% appena.
È in corso una discussione su come riformare il Patto, però allo stato attuale è finita in un vicolo cieco. La Commissione europea ha proposto ad aprile una revisione delle regole, che mantiene inalterati gli obiettivi del 3% e del 60%, ma apporta importanti modifiche al modo in cui le due soglie dovrebbero essere raggiunte. Ogni Stato membro dovrà elaborare un piano di bilancio a medio termine per ridurre i livelli di deficit a un ritmo credibile e portare il debito pubblico su un “plausibile percorso discendente”, che dovrà essere negoziato dal singolo Stato con la Commissione europea e approvato dal Consiglio dell’Ue. Gli aggiustamenti fiscali necessari a raggiungere – o almeno ad avvicinarsi – alle soglie del 3% e del 60% verrebbero effettuati in un periodo di quattro anni, in corrispondenza dei cicli elettorali, e potrebbero essere estesi a sette anni in cambio di ulteriori riforme e investimenti.
Da aprile a oggi non sono stati compiuti passi avanti; la Spagna, che ha la presidenza di turno, ha preso in mano il dossier e lo ha diviso in quattro parti che corrispondono ai principali punti di attrito. Vediamoli per sommi capi.
1. Deficit e debito. Paesi come Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia vogliono la massima flessibilità possibile e sostengono che i piani a medio termine terrebbero conto delle loro caratteristiche nazionali e consentirebbero quindi di tracciare un percorso sostenibile verso i due obiettivi. Germania, Paesi Bassi, Austria, Danimarca e i tre Stati baltici temono che si possa abusare del margine di manovra. Il Governo tedesco ha pubblicato un documento informale in cui si chiede una “salvaguardia comune” che costringa gli Stati membri con un rapporto debito/Pil superiore al 60% a ridurre i livelli di debito dello 0,5% o dell’1% all’anno, a seconda del loro punto di partenza. La Commissione ha proposto misure di salvaguardia per il deficit, con l’obbligo di ridurli dello 0,5% del Pil all’anno, fino a scendere sotto il 3%. Tuttavia, non ha introdotto una regola uniforme per tutti i Paesi, ha invece inserito un requisito dalla formulazione vaga, secondo cui il rapporto debito/Pil dovrebbe essere più basso alla fine dei piani di medio termine rispetto all’inizio.
2. Gli investimenti. Solo per realizzare il Green Deal, l’Unione avrà bisogno di altri 620 miliardi di euro fino al 2030. La Commissione sostiene che la sua proposta lascia spazio sufficiente agli Stati membri per iniettare fondi nelle principali priorità come l’energia pulita e i microchip avanzati. Ma alcuni Governi non sono convinti e stanno spingendo per introdurre la cosiddetta golden rule, che eliminerebbe alcuni investimenti dal computo del rapporto deficit/Pil e debito/Pil, escludendoli di fatto dalla sorveglianza fiscale. L’Italia ha suggerito di escludere anche i fondi del Pnrr e i progetti militari. La coalizione di Paesi guidata dalla Germania si oppone frontalmente a qualsiasi golden rule.
3. Le sanzioni. Il Paese che non rispetta le due regole auree viene sottoposto alla procedura d’infrazione. Se non prende provvedimenti, può essere sanzionato con una multa fino allo 0,5% del proprio Pil. Finora, nonostante i livelli di debito abbiano superato quasi ovunque il 100%, non sono mai state comminate multe. La Commissione europea ha proposto modifiche per accelerare la procedura per i disavanzi eccessivi. Per i Paesi altamente indebitati la procedura scatterà automaticamente. La riforma prevede anche multe ridotte che potrebbero avere maggiori possibilità di essere applicate e misure “reputazionali”, come la possibilità di portare i ministri nazionali davanti al Parlamento europeo.
4. I poteri. Secondo l’attuale proposta, la Commissione fornirebbe orientamenti economici a ciascun Paese e negozierebbe il piano di medio termine, che dovrebbe definire il percorso per una progressiva riduzione di deficit e debito, accompagnata da riforme e investimenti. I piani fiscali verrebbero poi approvati dal Consiglio e la loro attuazione eseguita da ciascun Governo sotto la supervisione della Commissione. L’esecutivo valuterebbe se gli impegni sono stati rispettati e, se necessario, proporrebbe misure correttive. Ciò ha sollevato il timore che concentri troppo potere nell’intero processo e che, di conseguenza, gli Stati membri possano perderne. Le discussioni sono ora incentrate su come modificare la “distribuzione del potere”.
Sugli ultimi due dossier si potrà raggiungere un’intesa, gli scogli per ora insormontabili sono il primo e il secondo. Formalmente ci sono due mesi di tempo e l’Ue ci ha abituato alle maratone notturne che finiscono all’alba e spesso alla scappatoia di fermare gli orologi. Avremo il patto di babbo Natale o magari di San Silvestro? Può darsi. Se l’accordo non c’è, per l’Italia sono guai, perché tutti i parametri sui quali è fondata la Legge di bilancio per il 2024 sono fuori norma. Se passa la golden rule potremo tirare un sospiro di sollievo, ma il debito resta in ogni caso eccessivo. Se passa la flessibilità, andremo incontro a negoziati senza fine che di fatto ipotecano le politiche di bilancio nei prossimi anni.
Acquistare tempo è una tattica utile solo se prima vengono fatte scelte chiare, se serve a intorbidire le acque diventa dannosa. Gira e rigira l’Italia è sempre davanti al suo dilemma di fondo: se non riduce il debito non cresce, se non cresce non riduce il debito. E non ci sono scorciatoie che tengano.
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