Sembra che nemmeno l’Ecofin di oggi riuscirà a sbloccare l’impasse sulla riforma del Patto di stabilità. Alla proposta della Commissione europea di aprile è seguita una controproposta tedesca e un più recente tentativo di mediazione spagnolo che al momento non ha avuto buon esito. Se non verrà trovato un accordo entro la fine dell’anno, il rischio è quello di tornare alle regole pre-vigenti. Riguardo le possibili conseguenze per l’Italia, Massimo D’Antoni, docente di scienza delle finanze all’Università di Siena, ricorda che “in una recente audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio si mostrava come il ritorno alle vecchie regole, in particolare la regola del pareggio strutturale di bilancio, non cambierebbe in modo sostanziale la rigidità dei vincoli nei primi anni rispetto alle nuove regole nella versione che prevede un aggiustamento in 4 anni. La differenza sarebbe nel medio-lungo periodo. Non ci sarebbero forse conseguenze di rilievo per il 2024, ma ricordiamo che ormai la proiezione viene fatta per il successivo triennio e dunque un aggiustamento sarebbe necessario. La questione è diversa se prendiamo a riferimento l’aggiustamento in 7 anni previsto dalle nuove regole proposte dalla Commissione europea”.
Cosa accadrebbe in questo caso?
In questo caso l’adozione delle nuove regole porterebbe a un allentamento sostanziale degli obiettivi di bilancio, ma il prezzo sarebbe una perdita di autonomia nelle politiche economiche, una situazione che qualcuno ha assimilato a un vero e proprio commissariamento. Non so di proiezioni aggiornate rispetto alla regola del debito, ma immagino che da quel punto di vista potrebbero sorgere dei problemi, potrebbe determinarsi un’infrazione.
Al momento non sembrano esserci le basi per un accordo su nuove regole. Cosa lo rende così difficile?
Le difficoltà di raggiungere un accordo sono note e la divergenza non è solo tra Italia e Germania, anche la Francia è coinvolta nel braccio di ferro e si oppone alle richieste tedesche di una correzione della proposta della Commissione in senso rigorista. Recentemente è anche uscito un rapporto della Corte dei Conti europea che, pur rilevando la necessità di una riforma, ha sottolineato come la proposta di Bruxelles possa lasciare troppa libertà di manovra agli Stati membri. Il rapporto è tutto sommato equilibrato, ma esso può rappresentare un assist a chi vorrebbe introdurre parametri più certi a garanzia della riduzione del debito e del deficit.
Come la Germania…
La Germania insiste da tempo sulla necessità di fissare una riduzione minima annua del rapporto debito/Pil nei Paesi che superano la soglia del 60%. Si parla di una riduzione dell’1%, inferiore a quella prevista dall’attuale regola del debito ma comunque impegnativa. Una critica che si può fare a queste richieste tedesche, al di là del fatto che ci costringerebbero a una maggiore austerità, è che vanno contro uno dei punti qualificanti della riforma proposta. Ricordiamo che uno degli obiettivi di tale riforma era quello di superare la molteplicità di parametri, adottando quale unico riferimento la crescita della spesa pubblica netta. Seguendo la linea tedesca rientrerebbe dalla finestra, seppure modificata, una “regola del debito”, e magari anche una regola sul deficit, aggiuntiva rispetto a quella del 3%.
Nelle scorse settimane è emersa anche una proposta spagnola per arrivare a un accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Cosa ne pensa? Sarebbe un buon compromesso?
La proposta mira ad accogliere le richieste di alcuni Paesi, tra i quali Francia e Italia, relativamente allo scorporo delle spese di investimento dal calcolo del deficit. Si tratterebbe di una “mini-golden rule” in base alla quale gli investimenti definiti dalle priorità europee, cioè quelli relativi alla transizione verde, alla digitalizzazione, ma anche le spese militari, resterebbero in misura significativa fuori dal conto. In cambio ci sarebbe la disponibilità a venire incontro, almeno in parte, alla richiesta tedesca sulla clausola di riduzione del debito. Leggo però che i tedeschi hanno lamentato che la proposta non presterebbe la dovuta attenzione alle loro richieste e l’accordo non è stato ancora trovato. Su questa intransigenza tedesca pesano forse anche equilibri di politica interna: non dimentichiamo che il ministro delle Finanze tedesco, Lindner, è un esponente del Partito liberale, da sempre convintamente a favore del rigore di bilancio. Si tratta a questo punto di aspettare l’evolversi della discussione.
Il Commissario Gentiloni non ha escluso che, in caso di accordo su nuove regole, si possa introdurre un “periodo transitorio” per aiutare i Paesi ad adattarsi. È una proposta condivisibile, ma soprattutto realmente attuabile?
Nel caso in cui fosse necessaria, credo che, una volta raggiunto un accordo sulle regole, una simile previsione non troverebbe grandi ostacoli. Non c’è interesse a creare motivi di attrito su questo punto, la vera partita è la definizione del nuovo quadro regolatorio che, nelle intenzioni, dovrebbe durare a lungo. Mi aspetto peraltro che l’urgenza di un avvio “morbido” sia tanto più necessaria, e tanto più facilmente concessa, quanto più rigido è il sistema a regime. Cosa che ovviamente non auspico.
Data la situazione dell’economia europea (evidenziata dai dati Eurostat diffusi settimana scorsa) non sarebbe auspicabile un ulteriore anno di sospensione piuttosto che il ritorno alle regole pre-vigenti o un compromesso al ribasso tra le proposte ora sul piatto?
Possiamo anche auspicarlo, ma non credo che una tale sospensione sarebbe accettata. Per quanto l’economia europea stenti a ripartire, le condizioni per la clausola di salvaguardia non ci sono più e prolungare la sospensione delle regole per il mancato raggiungimento di un accordo suonerebbe come una sconfitta, innanzitutto per la Commissione, che su tale riforma ha investito molto. Del resto, la minaccia del ritorno alle vecchie regole in caso di mancato accordo è ciò che da forza negoziale alla posizione dei rigoristi. Non credo che accetterebbero di rinunciarvi. Guardando al passato, il compromesso, magari su una soluzione che alla fine non piace a nessuno, mi sembra l’esito più probabile.
Tra due settimane è atteso il giudizio della Commissione europea sulla Legge di bilancio italiana. Lei cosa si aspetta? La manovra verrà promossa?
La legge di bilancio è in linea con la nuova regola relativa alla crescita della spesa. Il problema è il deficit previsto al 4,3% per il 2024, che dovrebbe tornare sotto il limite del 3% solo a partire dal 2026. Nonostante il superamento del limite di Maastricht, il fatto che sia prevista una riduzione rispetto all’anno corrente (nel 2023 il deficit è al 5,3%) dovrebbe metterci al riparo. Un possibile problema è il fatto che le proiezioni di bilancio sono basate su previsioni macroeconomiche che molti osservatori giudicano troppo ottimistiche. L’eventuale apertura di una procedura di infrazione è comunque rinviata alla primavera del 2024, sulla base dei risultati del 2023. Va detto però che in un momento del genere, uscendo da un lungo periodo di sospensione delle regole, in presenza di una loro ridefinizione e dunque di incertezza sul quadro normativo, qualunque decisione finisce per essere in larga parte politica, più ancora che in passato. Posso sbagliarmi, ma dubito che in un simile contesto qualcuno spingerà per un’interpretazione eccessivamente rigida dei vincoli esistenti.
(Lorenzo Torrisi)
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