La scorsa settimana si è tenuto un importante incontro bilaterale a Berlino tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz in cui si è parlato anche della riforma del Patto di stabilità. In questo momento il Governo tedesco, a causa del cosiddetto freno al debito e di una sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, si trova in difficoltà non tanto finanziaria, quanto politica, e questo potrebbe consentire di arrivare a un cambiamento delle regole fiscali europee più vicino a quello richiesto dall’Italia, che, attraverso il ministro dell’Economia Giorgetti, tre settimane fa aveva fatto sapere di preferire un ritorno alle vecchie regole piuttosto che dare il proprio consenso a nuove più penalizzanti sul fronte del deficit. Secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, «la nebbia si sta finalmente diradando e i nodi al pettine stanno emergendo nella loro chiarezza».
Ci spieghi meglio.
C’è una situazione di drammatica debolezza che riguarda tutto l’Occidente, non soltanto a livello geopolitico, ma anche sociale. Il risultato delle elezioni olandesi, a pochi mesi da quelle europee, è lì a ricordarci il consenso raccolto dai partiti cosiddetti populisti. E in Germania AfD continuerà a guadagnare consensi vista l’impasse mostruosa dei tre partiti al Governo che non sanno dialogare sul futuro del Paese. Tutto questo a meno di un anno da un appuntamento che avrà ripercussioni anche sull’Europa: le presidenziali americane. In questo caso stiamo vedendo un disperato ma corretto tentativo di Biden di cercare di evitare una vittoria populista anche oltreoceano.
A che cosa si riferisce?
Il Presidente sta facendo riscorso, per vincere, a uno strumento necessario ma non sufficiente: una politica fiscale con una fortissima enfasi sulla presenza del settore pubblico nella società, negli ospedali, nelle università, nelle scuole, insomma nel welfare. Crollato il comunismo, in tanti abbiamo pensato che non ci sarebbe stato più bisogno di difenderci con lo Stato sociale, ma adesso ci troviamo a dire che è una grande protezione anche contro i populismi. Quello stesso Stato sociale che, invece, in Europa stiamo lentamente smontando e in questo c’è un’enorme responsabilità dei partiti di sinistra. Biden sta usando chiaramente la leva fiscale, programmando deficit intorno al 10% del Pil l’anno da qui al 2030, memore di quello che negli Stati Uniti è ben noto da Roosevelt in poi: una politica fiscale finanziata in deficit e centrata sugli investimenti pubblici ha tre ruoli decisivi.
Quali?
Il primo è contingente: genera maggiore domanda in un momento di difficoltà per sostenere l’occupazione. Il secondo è un miglioramento dell’offerta che contribuisce a rendere più competitivo un Paese, tramite, per esempio, nuove infrastrutture. Il terzo è una maggiore inclusione, perché gli investimenti danno lavoro.
È un bene, quindi, che siano state approvate le modifiche al Pnrr e che siano previste anche delle risorse in più.
È una buona notizia, perché significa che possono arrivare nuove risorse per gli investimenti pubblici. Tuttavia, sappiamo benissimo che di fronte ai grandi sconvolgimenti, che siano climatici, ambientali o sociali, occorre qualcosa in più che il Pnrr non può fornire perché figlio di una visione di una politica fiscale europea che alimenta i populismi: al suo interno, infatti, ha il Fiscal compact che rende necessaria la convergenza del deficit/Pil sotto il 3%, come si è visto anche negli ultimi anni e nell’ultima Legge di bilancio. È per questo che il Governo da una parte può dichiarare che ci sono risorse per gli investimenti, ma dall’altra deve tagliare le spese.
Più di quanto abbia già fatto, visto il giudizio della Commissione europea sulla manovra di settimana scorsa…
Nonostante Bruxelles riconosca l’alto livello della politica fiscale restrittiva del nostro Paese, non esclude sia necessaria una manovra correttiva ed evidenzia che le risorse liberate dai sussidi energetici andavano destinate alla riduzione del debito. Si tratta di una follia. Tuttavia, come dicevo all’inizio, ora la nebbia si è diradata e c’è un’immensa occasione. Va dato atto al Governo che con la sua non adesione alla riforma del Patto di stabilità che si va prefigurando ci sta facendo ragionare: siamo sicuri di voler continuare con una costruzione fiscale che alimenta i populismi? Questa opposizione italiana, però, non basta, perché deve diventare propositiva.
In che modo può diventarlo?
In questo momento c’è un partner, tradizionalmente opposto a questa visione, che si trova in immensa difficoltà, non solo dal punto di vista economico, ma anche politico visto il buco da 60 miliardi che si è creato. Che tra l’altro, visto l’obiettivo che avevano questi fondi, denota la capacità dei tedeschi di capire le sfide che sono davanti a loro. Si tratta però di sfide che riguardano tutta l’Europa, non solo la Germania, e tutto l’Occidente dal punto di vista sociale. Occorre, quindi, portare Berlino ad aderire a un’idea di golden rule che escluda tutti gli investimenti pubblici, non solo quelli del Pnrr o della difesa, compresi quelli in buona capacità amministrativa per fare buoni appalti: si tratta, infatti, di investimenti in capitale umano che non vanno considerati spesa corrente. Il tutto avrebbe come risultato una crescita che abbatterebbe il debito/Pil e il costo degli interessi sul debito, al contrario di quello che ha fatto l’austerità negli ultimi 15 anni. Il Governo italiano deve però mettere sul tavolo un impegno, che permetta al nostro Paese di diventare credibile e di effettuare uno scambio.
Cosa dovrebbe mettere sul tavolo il nostro Paese?
Il Pnrr ha confermato che il nostro Paese spende male: non abbiamo la capacità amministrativa, fatta di competenze, per affrontare la grandissima sfida degli investimenti pubblici. Come ho già avuto modo di dire in passato, la Meloni deve quindi attuare una grande e rivoluzionaria spending review, che non significa tagli di spesa, ma tagli di sprechi, con l’obiettivo di riqualificare la Pa. A quel punto nessuno potrà dire all’Italia che non sa spendere e che quindi non va consentita una golden rule sugli investimenti pubblici.
Tutto questo comporterebbe una trattativa tra Italia e Germania che andrebbe oltre il 31 dicembre…
Sì, è evidente che ci vorrà tempo per parlare coi tedeschi. Penso che la nostra Premier dovrebbe impegnarsi in una serie di continui colloqui e incontri con il Cancelliere Scholz, senza interessarsi della Commissione europea e degli altri Paesi membri: il Re è nudo ed è evidente che tutto si gioca tra Italia e Germania, anche perché la Francia di Macron è in difficoltà. È un’occasione da non perdere se si vuole evitare di mettere in crisi tutto il modello europeo e di conseguenza anche occidentale.
La Francia, visto anche che Bruxelles l’ha posta tra i Paesi non in linea con le raccomandazioni europee, non potrebbe favorire questo accordo tra Italia e Germania?
Ricordiamoci che la Francia darà il suo voto per Expo 2030 non a Roma ma a Riad. Questo è indicativo del fatto che la visione di Parigi è europea solo se le fa comodo. In questo caso, invece, occorre che tutti facciano un passo indietro per farne due in avanti. E credo lo possa comprendere di più la Germania che non la Francia.
(Lorenzo Torrisi)
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