Solo nel primo trimestre del 2023 arriverà una proposta legislativa sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, ma, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, le linee guida presentate mercoledì «forniscono già delle indicazioni importanti, soprattutto perché Bruxelles spiega di voler costruire “un quadro di governance economica adatto alle sfide del futuro” e di questo c’è effettivamente bisogno.



Sul progetto delineato pare esserci una zavorra del passato che rende difficili cambiamenti sostanziali, anche se bisogna riconoscere che un elemento di novità è rappresentato da un linguaggio che appare più costruttivo».

Può fare un esempio?

Si dice che la Commissione vuole muoversi verso un sistema di sorveglianza fiscale “risk-based”. Questa è una locuzione che può far ben sperare se vogliamo una governance basata sul coordinamento, che è fondamentale, e che guardi ai rischi sul futuro per l’area europea. Sarebbe in ogni caso importante venisse fornita un’esplicita spiegazione di che cosa si intenda per “risk-based”.



C’è qualche altra parola su cui, secondo lei, sarebbe necessario un chiarimento?
Bruxelles spiega che, con l’obiettivo di aumentare l’ownership degli Stati membri, “istituzioni fiscali indipendenti” possono avere un ruolo importante a supporto dei governi nazionali nel monitorare la conformità ai piani di aggiustamento fiscale concordati con la Commissione. Si tratta ovviamente di intendersi su quali siano queste istituzioni indipendenti.

Il Fmi potrebbe esserlo?

Beh, il Fmi tanto indipendente non è. Tra l’altro sarebbe meglio se queste istituzioni fossero interne al Paese membro interessato. Ma, ripeto, su questo non si dice nulla di specifico. Siamo ancora a una proposta che introduce qualche elemento di novità costruttivo, anche se zavorrato dal passato. Tra l’altro si capisce che sono state mosse alcune obiezioni e sarebbe interessante sapere chi le ha avanzate.



Può spiegarci a che cosa fa riferimento?

La Commissione evidenzia che nel processo che ha portato alla presentazione delle linee guida non è emerso un consenso sull’introduzione della cosiddetta golden rule. Questo vuol dire che ci sono Paesi che si sono opposti. Io spero che ci siano ancora margini di trattativa per spiegare che sarebbe un bene escludere dai parametri che contano a livello europeo le spese per gli investimenti green e quelli indirizzati a ridurre gli eventi climatici estremi. Non si può pensare, dopo tanti discorsi sulla sostenibilità e l’ambiente, che un Paese che fa investimenti di questo tipo possa persino essere penalizzato.

Prima ha accennato ai piani di aggiustamento fiscale concordati tra i Paesi e la Commissione. Cosa pensa di questa procedura che rappresenta uno dei punti innovativi della proposta?

Secondo Bruxelles, la proposta mira a favorire la crescita, ed è quello che tutti ci auguriamo come obiettivo. Detto questo, viene fatta una distinzione tra tre gruppi di Paesi (a basso, medio o alto debito), ma al di là di dove è facile immaginare in quale rientri l’Italia, non essendo indicate vere e proprie soglie numeriche c’è da chiedersi, per esempio, a quale gruppo appartenga la Francia.

È così importante?

Beh, il trattamento riservato ai Paesi è differenziato a seconda del gruppo di appartenenza. Si dice, infatti, che per i Paesi più indebitati la traiettoria del debito decennale deve essere in continuo calo entro l’orizzonte del piano (quattro anni), mentre per quelli a debito moderato questo traguardo deve essere raggiunto entro i tre anni successivi all’orizzonte del piano. Non è una differenza da poco.

Vede il rischio di commissariamento per i Paesi più indebitati?

Commissariamento vuol dire trovarsi in una situazione come quella vissuta dalla Grecia negli anni scorsi, un qualcosa che non appare compatibile con il tipo di governance che Bruxelles auspica in queste linee guida.

Se però si dice che sarà la Commissione a proporre a ogni Stato membro con debito medio o elevato un percorso di aggiustamento pluriennale, vuol dire anche che potrebbe essere fissato un traguardo troppo sfidante…

Certo, si spera che non vengano fissati traguardi impossibili. C’è comunque da dire che i piani a medio termine verrebbero predisposti dai singoli Paesi membri, per essere sottoposti alla Commissione, e che il percorso di aggiustamento riguarda la spesa primaria netta, che Bruxelles spiega essere calcolata al netto delle misure discrezionali in materia di entrate ed escludendo la spesa per interessi e quella per la disoccupazione corretta per il ciclo. Questo vuol dire che non verrebbero conteggiati i sostegni alla disoccupazione in periodi di crisi. Il fatto che l’Italia abbia fatto registrare per anni un avanzo primario  l’aiuta a far sì che possa presentare un percorso di aggiustamento potendolo rispettare senza troppe conseguenze negative. Certo, sarebbe stato meglio, come detto prima, avere anche la golden rule.

Professore, se l’obiettivo della proposta è incoraggiare la crescita economica, e non solo la sostenibilità fiscale, dei Paesi membri, non sarebbe stato meglio classificarli a seconda del loro livello di crescita, anziché di debito, cercando di aiutare quelli che ne hanno di più bassi a migliorare la propria performance?

Assolutamente. Spero che si possa discutere di due questioni del tutto assenti in questa proposta, in modo che possano riuscire a farne parte. Oltre a quanto già detto sulla golden rule per gli investimenti green, un discorso analogo andrebbe fatto per quegli investimenti che aumentano la produttività, una parola chiave per la crescita. Vorrei ricordare che la Germania è diventata un Paese di riferimento in Europa anche grazie a 30 miliardi di spesa pubblica l’anno per la ricerca di base.

(Lorenzo Torrisi)

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