Sotto l’albero di Natale dell’Unione europea è prevedibile la presenza di un regalo alquanto ingombrante, il nuovo Patto di stabilità che ci si aspetta verrà confezionato nell’Ecofin straordinario che si terrà tra il 18 e il 21 dicembre. Giusto in tempo per affidarlo a un Babbo Natale, necessariamente nordico e frugale, affinché lo consegni durante il suo tour nei Paesi cicala dall’alto debito pubblico assieme al biglietto augurale degli assidui lettori nord e centro europei di Esopo.
Ai margini dell’ultima riunione dell’Ecofin il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, ha infatti dichiarato: “Sono convinto che il deficit pubblico eccessivo (dunque sopra il 3% del Pil) debba essere ridotto e non sia giustificato, c’è una differenza tra la dimensione preventiva e la dimensione correttiva delle regole e per quest’ultima non è necessario cambiare le regole che già prevedono flessibilità”.
Si intravvede da questa dichiarazione il riemergere di una certa rigidità che in realtà non è che una manifestazione del carattere di chi abita a nord delle Alpi, il quale include il desiderio che tutte le azioni siano regolate da regole certe, definite ex ante e non modificabili né derogabili durante la loro esecuzione. Purtroppo questo auspicio, che è ampiamente condivisibile per tutte le azioni il cui corso è certo e prevedibile e al quale anche noi che abitiamo a sud delle Alpi dovremmo aderire con convinzione, cessa di validità in tutti i casi che non possono essere oggetto di un esercizio preventivo del controllo. Ognuno di noi può darsi delle regole precise per le azioni che dipendono da se stesso, ma non può darsi nessuna regola certa per le azioni il cui svolgimento è al di fuori della sua portata.
Così è anche nel caso dei Governi e della sostenibilità dei debiti sovrani che come argomentato in una precedente occasione è principalmente sotto l’ombrello della Banca centrale europea, come dimostrato a suo tempo durante il governatorato di Draghi attraverso la formula magica “Whatever it takes”, ma non sotto l’ombrello dei Governi nazionali.
I Paesi nordici che premono per regole che impongano un calo del disavanzo e del debito pubblico per i Paesi più problematici debbono farsi una ragione del fatto che i Governi e i Parlamenti nazionali possono al più tenere sotto controllo la spesa pubblica primaria, al netto degli interessi sul debito, ma non possono spingersi molto oltre. Infatti, la spesa per interessi dipende da una sola variabile, il costo medio del debito, il quale dipende a sua volta dal livello dei tassi d’interesse. Il costo medio del debito moltiplicato per il dato certo dello stock del debito genera la spesa per interessi, tuttavia i Governi non controllano né il primo, determinato dai mercati, né il secondo, ereditato dai loro predecessori. E riguardo alle entrate essi decidono solo le aliquote e la struttura delle imposte, ma non controllano il gettito, che deriva dall’applicazione delle aliquote agli imponibili fiscali, dettati invece dalle dinamiche economiche e dunque, in definitiva dalla crescita o decrescita del Pil.
È dunque eccessivo, se non irrealistico, che ai Paesi il cui debito supera il 90% del Pil, com’è abbondantemente il caso dell’Italia, venga chiesto, ipotesi in circolazione in sede Ue, oltre al rientro entro il 3% del deficit sul Pil anche un calo del debito dell’1% all’anno (o dello 0,5% per i Paesi il cui debito si colloca tra il 60 e il 90% del Pil). E questo non perché non siano obiettivi conseguibili, ma in quanto non possono essere considerati obiettivi anche qualora conseguibili… In sostanza può accadere che in alcuni anni siano facilmente ottenibili, senza che questo dipenda strettamente dalle virtù dei Governi, ma che in altri non lo siano proprio, e senza che questo sia dovuto a un demerito dei Governi ma per condizioni macroeconomiche oggettive. Intanto i Paesi che potrebbero già trovarsi in difetto nell’immediato sono numerosi – Belgio, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Malta, Slovenia e Slovacchia – e di essi i maggiori sono tutti mediterranei…
L’Europa vuole regolare l’irregolabile quando invece dovrebbe impegnarsi a costruire il costruibile, ovvero l’Unione politica degli Stati europei, un obiettivo decisamente più ambizioso, ma anche molto più alla portata degli astrusi meccanismi contabili dei ragionieri dei debiti pubblici.
(4 – continua)
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