Per comprendere appieno il dibattito in sede europea sulla riforma delle regole fiscali per gli anni a venire conviene fare un piccolo esperimento. Immaginiamo un signore insonne che vuole porre un drastico rimedio al suo problema. Egli decide di darsi una regola ben precisa: questa notte si addormenterà esattamente dieci minuti prima dell’ora in cui si è addormentato ieri, domani a sua volta si addormenterà dieci minuti prima rispetto all’ora di oggi e così via nei giorni seguenti. Come dovremmo interpretare questa strategia? Semplicemente come una strategia fallimentare e insensata. Tutti sanno infatti che il sonno è un obiettivo che non si può perseguire in via diretta, ma solo come effetto indiretto e inintenzionale di altre azioni, ad esempio quella di mettersi a letto. Possiamo dunque decidere di coricarci, ma non possiamo certo decidere di dormire…



Gli stati finali che non possono essere perseguiti in via diretta, a rischio di non conseguirli, sono chiamati dal filosofo Jon Elster “stati essenzialmente secondari”. Un’opera d’arte, ad esempio, non può essere perseguita in via diretta, uno scrittore non può decidere di scrivere un capolavoro, può solo decidere di scrivere un romanzo che, a certe condizioni e in un determinato contesto, forse potrà divenire un capolavoro.



Certamente un’opera d’arte è un prodotto intenzionale, ma solo nel senso che un’opera d’arte è prodotta per mezzo di un’intenzione, ma non grazie a essa. Per riprendere la terminologia di Jon Elster, l’opera d’arte si produce solo come effetto essenzialmente secondario di azioni che mirano necessariamente alla realizzazione di altri fini determinati: se voglio produrre un cavatappi o una libreria o un tavolo, so cosa devo fare. Se voglio produrre un’opera d’arte, non lo so… Naturalmente, i prodotti o gli stati che sono effetti essenzialmente secondari sono molto eterogenei, e meno che mai sono tutti opere d’arte: Elster, per esempio, è interessato a casi di tutt’altro genere. Se voglio produrre in me uno stato di dimenticanza (se voglio dimenticare qualcosa) non posso mirare consapevolmente e intenzionalmente a questo scopo; dovrò mirare a un altro scopo, per esempio a interessarmi a un film, dove il mio intento primario dovrà essere quello di interessarmi al film e, forse, come effetto secondario, otterrò di distrarmi e di dimenticare quel che voglio dimenticare. Se voglio ottenere una fede religiosa, posso andare in chiesa e compiere tutti i riti che compiono i credenti, ma non avrebbe senso dire che mi sono posto lo scopo di credere e che l’ho ottenuto grazie a questa mia intenzione. Lo stesso vale per l’insonnia: è fallimentare, se si soffre di insonnia, mirare intenzionalmente e consapevolmente a dormire, bisogna mirare ad altro e sperare che il sonno venga” (Stefano Velotti, “Valutare e descrivere. Il problema di un’ontologia d’arte”).



A questo punto possiamo svelare il mistero che si nasconde dietro la nostra metafora: il signore insonne è l’Europa, l’insonnia è l’alto e preoccupante rapporto debito pubblico/Pil e la regola dell’addormentarsi prima periodo dopo periodo è semplicemente quella che si vorrebbe introdurre per la sua riduzione automatica nel tempo. Essa lascia giustamente perplesso il nostro Governo e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti ne ha parlato proprio ieri in maniera critica in un’audizione parlamentare: “La previsione di ulteriori vincoli rispetto a quanto proposto dalla Commissione potrebbe portare a un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma così come delineati a partire dalla Comunicazione della Commissione stessa: vale a dire un assetto caratterizzato da semplicità e da un maggiore equilibrio tra gli obiettivi di crescita economica, di promozione della transizione ecologica e digitale, nonché di sostenibilità del debito pubblico”.

Non esiste in sostanza un solo obiettivo, bensì una pluralità di obiettivi e quello della riduzione del peso del debito non può essere perseguito trascurando quello della crescita economica. Peraltro anche la crescita economica, non solo la sostenibilità del debito, è uno stato essenzialmente secondario, è la conseguenza di un insieme di altri fattori e non può essere neppure essa perseguita in via diretta.

L’insonnia dell’Europa si rivela parecchio complicata: la sostenibilità del debito pubblico è uno stato essenzialmente secondario il quale dipende strettamente dalla crescita economica, da quanto aumenta nel tempo il Pil nominale che sta al denominatore del rapporto. E anche la crescita economica è uno stato essenzialmente secondario: nessuno può decidere di far crescere di più l’economia nazionale e a seguito di questa decisione ottenere che avvenga. Magari questo fosse possibile…

E non parliamo poi del debito, che sta al numeratore del rapporto. Lo stock del debito è un fatto certo, un numero statistico oggettivo, tuttavia qui conta la sua variazione nel tempo, anno dopo anno, che è in sostanza il disavanzo annuo dei conti pubblici. Per frenare la crescita dello stock del debito occorre ridurre il disavanzo pubblico e dunque ridurre la spesa pubblica e/o aumentare le entrate, dunque il gettito fiscale. La spesa pubblica può essere ridotta nelle manovre di bilancio, ma tale riduzione potrebbe riverberarsi sulla crescita economica riducendola a sua volta. E riguardo alle entrate fiscali si decidono solo le aliquote, non certo il gettito, il quale dipende dalle aliquote ma anche dagli imponibili a cui si applicano, i quali dipendono strettamente dalla crescita economica…

Proviamo allora a fare ordine:

1) La crescita economica di un Paese è uno stato essenzialmente secondario, non può essere decisa dai Governi e ottenuta in quanto decisa.

2) La crescita economica determina la dinamica delle entrate fiscali e rende pertanto anche le entrate uno stato essenzialmente secondario: se si persegue direttamente la loro crescita aumentando eccessivamente o troppo rapidamente le aliquote fiscali si può produrre recessione che può far calare il gettito quando invece l’obiettivo era quello di accrescerlo.

3) Lo stato essenzialmente secondario del gettito fiscale rende tale anche il disavanzo pubblico e con esso anche la variazione annua dello stock del debito e pertanto con essa anche il rapporto debito/Pil…

In pratica è una catena di Sant’Antonio di stati secondari: la si può affrontare a partire dall’ultimo degli anelli, il rapporto debito/Pil, ma con questo approccio la catena resta ingovernabile. Bisogna al contrario affrontarla a partire dal primo anello, quello della crescita economica, l’unico stato secondario che ha carattere originario e non derivato. Se si risolve il rebus della crescita allora, sistemando il primo anello, anche quelli concatenati vanno a posto in maniera molto facile e senza bisogno delle rigide regole dell’insonne che pretende di addormentarsi a comando

Purtroppo chi in Europa propone regole rigide e automatismi non deve mai aver sofferto d’insonnia, né aver letto gli scritti di Jon Elster. Ha dunque ragione Giancarlo Giorgetti che in Parlamento ha sostenuto “Rispetto a regole impossibili da mantenere io non credo per serietà si possa dire di sì”.

(1- continua)

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