Dopo le parole pronunciate al Meeting di Rimini da Raffaele Fitto, in questi giorni si è tornati a parlare della riforma del Patto di stabilità e dei rischi che incombono sull’Italia. “Il ministro per Affari europei – ci spiega Gustavo Piga, ordinario di Economia politica nell’Università di Roma Tor Vergata – ha parlato del rischio che tornino in vigore le vecchie regole del Patto di stabilità e crescita, ma in realtà, come il Fiscal compact, non ci hanno mai lasciato, salvo che nel 2020, l’anno del Covid”.
Ci spieghi meglio questo passaggio.
Praticamente tutti i Documenti di economia e finanza hanno previsto un rientro del deficit/Pil sotto il 3% entro tre anni. Anche l’attuale Governo, anziché “sparigliare” come fece il Conte-1 appena insediatosi – anche se poi sprecò l’opportunità eccezionale di fare più deficit con Quota 100 e Reddito di cittadinanza che non portarono più crescita -, si è legato mani e piedi all’austerità in un momento in cui l’Italia continua a crescere meno dei partner europei e vi sono strati crescenti della società che soffrono e avrebbero bisogno di un aiuto. Ormai, però, non si può più fare marcia indietro rispetto alla parola data e ora bisognerà mettere in piedi una manovra dove oltre a trovare risorse, circa 20 miliardi, per ridurre il deficit su Pil secondo quanto programmato, bisognerà reperirne altre per le misure che si vorrebbero varare. Da qui la decisione di tassare gli extra-profitti bancari con modalità di attuazione inusuali, che denotano una fretta e un panico agostano che non hanno ragione di essere per chi invece pianifica con intelligenza a monte, all’inizio del mandato, le proprie esigenze.
Torniamo alla riforma del Patto di stabilità e crescita. Al momento ci sono due proposte sul tavolo: quella della Commissione europea e quella della Germania. Quale ci conviene di più?
Io prenderei il toro per le corna, visto che è mancato un atto di coraggio iniziale. Sui giornali leggo dell’ipotesi di cercare convergenze con la Spagna e la Francia, addirittura con l’Olanda se le elezioni in quel Paese avessero un certo risultato: tutti piccoli e poco ambiziosi tentativi tattici che non tengono conto del convitato di pietra.
Sarebbe a dire?
La Commissione europea finisce sempre per essere schiava del suo vero padrone, che è la Germania. Quindi, volente o nolente, è con Berlino che il Governo deve trattare, senza cercare di aggirare questo confronto. E lo può fare sulla base della proposta di Berlino, che ha il merito di essere politica e non tecnica e di avere rispedito al mittente il tentativo di Bruxelles di accentrare nella Commissione un enorme potere decisionale. Certo, la Germania ha presentato una proposta guardando alle proprie esigenze, che sono diverse dalle nostre. Però ha chiesto, a differenza di una non ben definita traiettoria di aggiustamento del debito pubblico, una riduzione graduale del rapporto debito/Pil di almeno l’1% l’anno, un qualcosa di assolutamente raggiungibile anche per un Paese che avesse bisogno di spese aggiuntive come l’Italia, che sta chiedendo una golden rule per gli investimenti. Se il nostro budget si spostasse maggiormente sugli investimenti, infatti, come dimostra anche l’evidenza empirica, il debito su Pil scenderebbe, dato che aumenterebbe il denominatore.
Dunque, la trattativa da portare avanti con la Germania sarebbe quella di far inserire nella sua proposta una golden rule per non conteggiare nel deficit alcuni investimenti pubblici?
Si tratterebbe di conciliare la non ambiziosa, ma molto pragmatica regola tedesca sulla riduzione del debito/Pil di almeno l’1% l’anno con la nostra esigenza di fare investimenti in deficit. È ovvio che sarebbe molto più semplice convincere i tedeschi se noi riuscissimo a far scordare a tutti l’obbrobrio causato dagli ultimi tre Governi sul Pnrr con cui abbiamo dimostrato al mondo intero che è vero quello che ci rinfaccia, cioè che non sappiamo spendere bene. Dobbiamo, quindi, presentare a Berlino un piano serio di spending review. Continuiamo, però, a vedere, sia da parte del Mef che del ministro Fitto, una serie di segnali assolutamente incompatibili con la credibilità di un’azione di spending review.
A che cosa si riferisce?
I tagli alle spese dei ministeri di cui leggiamo in questi giorni sono gocce nell’oceano, mentre dovremmo intaccare la spesa per appalti di beni, servizi e lavori, dove si nascondono sprechi per almeno 60 miliardi di euro. Questi sprechi, dovuti a incompetenza, non a corruzione, non vanno combattuti tagliando meramente, ma tramite una rivoluzione organizzativa all’interno della Pubblica amministrazione fatta di competenze e di giovani. È questa operazione che dovrebbe essere avviata dal presidente del Consiglio in persona.
La golden rule per quali investimenti andrebbe richiesta?
Se ben utilizzate, tantissime voci di spesa corrente sarebbero da considerare investimenti, per esempio quelle in capitale umano come gli stipendi per i professori o gli addetti alle stazioni appaltanti. Capisco, però, che non sarebbe facile spiegarlo a Berlino e al resto d’Europa, quindi mi sembra tatticamente buona la richiesta italiana di non conteggiare gli investimenti legati alle missioni del Pnrr e alla difesa che l’Europa stessa dovrebbe ritenere fondamentali.
A proposito di tattica, avrebbe senso inserire in questa trattativa la ratifica della riforma del Mes da parte italiana?
No. Dentro quella riforma ci sono tante cose, ma soprattutto una trappola pericolosa legata al riconoscimento ulteriore del Fiscal compact sotto mentite spoglie. Nel momento in cui il Governo chiede una golden rule non può poi dire di sì a qualcosa che di fatto la esclude: come il Pnrr, anche il Mes prevede la clausola di convergenza al 3% del deficit/Pil senza eccezioni. La vera carta da giocare sul tavolo delle trattative è quella della spending review.
Rispetto, invece, alla Legge di bilancio, vista anche la sofferenza di una parte della società cui accennava prima, a quali interventi andrebbe data priorità?
In primo luogo, andrebbe messa in campo la spending review per reperire le risorse, altrimenti sarebbe impossibile varare alcunché. Queste risorse non dovrebbero essere utilizzate per ridurre il deficit o il debito, ma, oltre che per la sanità, penso che sarebbero importanti interventi relativi alle debolezze di questo Paese, che riguardano principalmente quanto poco mettiamo al centro della politica economica i nostri tesori, che sono: le piccole imprese, che vanno aiutate a crescere, come si fa nel resto del mondo; i giovani, che vanno valorizzati con investimenti nelle scuole, nelle università, nelle opportunità lavorative.
(Lorenzo Torrisi)
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