Non ho letto l’articolo sulla riforma delle pensioni, pubblicato da un quotidiano economico, che nella giornata di domenica è rimbalzato su taluni tg annunciando tagli alle pensioni di invalidità (civile) e a quelle ai superstiti (indirette se il de cuius è un lavoratore in attività, di reversibilità se è un pensionato). Non sono in grado di dire se gli allarmi creati avessero un fondamento nell’articolo o se vi fossero delle interpretazioni malevoli, a sfondo elettorale, su di un tema come quello delle pensioni che suscita sempre grande interesse. Pertanto l’allarmismo, ancorché infondato, garantisce ascolti e alimenta quel diffuso malcontento che funge da brodo di coltura dei populismi di varia tendenza. In realtà parlando di riforma pensioni non c’è nessun taglio attribuibile alla Legge di bilancio 2020, recentemente approvata dal Parlamento; soprattutto non sono state introdotte nuove disposizioni rispetto a quelle vigenti da decenni con riguardo alla natura delle prestazioni, secondo quanto stabilisce il comma 1 dell’art. 38 Cost.: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.
In sostanza, le prestazioni di carattere assistenziale (diversamente da quelle previdenziali) sono sottoposte ad accertamenti che in taluni casi possono essere anche di natura sanitaria (ad esempio, per valutare il livello d’inabilità e applicare le varie tutele previste in rapporto a esso), ma che concorrono sempre con la c.d. prova dei mezzi (ovvero la certificazione dei redditi a disposizione del soggetto): un requisito previsto per accedere a tutte le prestazioni assistenziali (esclusa l’indennità di accompagnamento per ottenere la quale è sufficiente l’accertamento del solo requisito sanitario consistente nell’impossibilità della persona di compiere i normali gesti della vita quotidiana in autonomia). Una disciplina particolare è prevista per i non vedenti e in particolare per i ciechi assoluti.
Che cosa significa la prova dei mezzi (è lo stesso sostantivo usato nella norma costituzionale)? Ogni anno, in base a taluni criteri (quasi sempre corrispondenti al multiplo di una prestazione minima), vengono stabiliti i limiti di reddito – in taluni casi del singolo, in altri della coppia – all’interno dei quali e in presenza delle altre condizioni, il soggetto ha diritto a ricevere o a conservare la prestazione. Normalmente questo massimale cresce anno dopo anno, quanto meno in base al tasso d’inflazione. Certo può essere che vi siano variazioni in aumento del reddito che facciano travalicare il suo ammontare rispetto al massimale stabilito. Ma questo fa parte delle regole del gioco, le quali non sono state scritte né dal Conte 1, né dal Conte 2. Diverso è il caso delle pensioni ai superstiti, che costituiscono un trattamento, di natura previdenziale, riconosciuto agli aventi diritto del lavoratore (indiretta) o del pensionato defunto (reversibilità).
Pensioni nei settori privati (lavoratori dipendenti e autonomi): i trattamenti ai superstiti sono 3,7 milioni di cui solo 450mila uomini, per un costo complessivo di 30 miliardi annui. La disciplina è sostanzialmente uniforme per l’impiego privato e quello pubblico (nel caso di reversibilità). I familiari che hanno diritto iure proprio alla prestazione sono il coniuge e i figli compresi gli equiparati (casistica particolare in caso di separazione e divorzio). In mancanza, i genitori, se non vi sono neppure questi, i fratelli celibi e le sorelle nubili. Come abbiamo visto, oltre al coniuge, la pensione spetta, dunque, ai figli legittimi ed equiparati, se sono minorenni o studenti (alle età stabilite) o inabili a qualunque età. In assenza del coniuge “scalano” gli altri parenti sempreché vivano a carico del dante causa e non siano titolari di altre pensioni. Per quanto riguarda la prestazione, essa è una quota percentuale della pensione spettante al de cuius (indiretta) o di quella erogata al dante causa (reversibilità).
La legge n. 335 del 1995 ha introdotto delle nuove disposizioni che si applicano interamente alle pensioni liquidate dopo l’entrata in vigore della legge suddetta. Per quelle in essere (alla data del 31 agosto 1995) fu prevista la conservazione del trattamento più favorevole, con riassorbimento dei futuri miglioramenti. Se il beneficiario appartiene a un nucleo dove non vi siano altri possibili titolari del diritto, la pensione è corrisposta in misura ridotta pari: al 75 per cento in presenza di un reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo; al 60 per cento in presenza di un reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo; al 50 per cento in presenza di un reddito superiore a 5 volte il minimo.
In sostanza, la vedova (come avviene nella stragrande maggioranza dei casi) prenderà per intero la quota del 60% a lei spettante solo nel caso in cui il suo reddito sia inferiore a tre volte il trattamento minimo. È appena il caso di ricordare che l’importo del minimo è stabilito ogni anno in rapporto al costo della vita. Pertanto anche i massimali (multipli del minimo) sono destinati ad aumentare sia pure di poco (visto che l’inflazione sembra uscita di scena). Pertanto anche in questo caso non si capisce dove stiano i tagli rispetto alla situazione preesistente.