VIA DAL LAVORO A 56 ANNI CON QUOTA 41

In un articolo pubblicato sul Quotidiano Nazionale vengono ricordate le misure di riforma pensioni che sono in vigore nell’anno appena iniziato. Se l’età pensionabile resta a 67 anni, viene ricordata l’esistenza della possibilità, per alcuni lavoratori, di andare in quiescenza a 56 anni. Nello specifico “potranno, infine, avere una chance i nati del 1962, 1963, 1964 se hanno almeno 41 anni di contributi, con 12 mesi di lavoro durante la minore età e, dunque, se hanno cominciato a lavorare nel 1977-78, intorno ai 14-15 anni, e se rientrano in una delle categorie disagiate (disoccupati, invalidi oltre il 74%, soggetti che assistono disabili, addetti a lavori usuranti o gravosi)”. Non si tratta quindi di una nuova misura, ma dell’effetto della Quota 41 contenuta nell’Ape social. Di fatto, quindi, anche l’anno scorso esisteva questa possibilità di pensionamento a 56 anni. Resta da capire quanti siano i lavoratori in possesso dei requisiti (e delle certificazioni) richiesti per questo canale di pensionamento anticipato.



QUOTA 100 E IL BILANCIO PREVENTIVO DELL’INPS

Come spiega Il Sole 24 Ore, il Comitato di indirizzo e vigilanza dell’Inps ha approvato il bilancio preventivo 2020 che prevede uno squilibrio gestionale pari a 6,38 miliardi di euro. La riforma pensioni con Quota 100 dovrebbe comportare una spesa per prestazioni stimata in 5,2 miliardi. Guglielmo Loy, Presidente del Civ, ha evidenziato che “per la prima volta dal 2011 evitiamo l’esercizio provvisorio perché il Comitato, che rappresenta milioni di imprese e lavoratori ‘contribuenti’, ha deciso approvare la delibera nonostante il Progetto di bilancio sia stato reso disponibile da parte degli Organi di gestione, solo il 2 dicembre con 63 giorni di ritardo rispetto ai termini regolamentari. Un ritardo che non è stato però utile a dare maggiori certezze all’attività dell’Istituto e che rimanda scelte importanti con le prossime note di variazione”. Intanto Domenico Proietti, Segretario confederale della Uil, a pensionipertutti.it fa sapere che “dopo l’Ape sociale e quota 100 occorre continuare ad estendere la flessibilità”.



QUOTA 100, DAMIANO CONTRO ITALIA VIVA

Cesare Damiano manda un messaggio chiaro a Italia Viva. Per l’ex ministro del Lavoro il partito di Matteo Renzi “si sta caratterizzando per l’abbattimento dei ‘totem’ che sarebbero il Reddito di Cittadinanza e Quota 100. Mi ricorda la battaglia di quei finti ecologisti che vorrebbero le strade pulite, ma gli inceneritori lontani dal loro giardino di casa”. L’ex deputato del Pd infatti evidenzia che la riforma pensioni del precedente Governo è senz’altro criticabile, “ma sarebbe estremamente controproducente rompere nuovamente un patto stipulato con i cittadini, anche se fatto da un governo diverso, perché si tratta di provvedimenti che hanno a che vedere con la vita delle persone”. Dal suo punto di vista “un altro totem, invece, che deve essere messo, questo sì, in discussione, è il Jobs Act, una misura che non ha niente a che vedere con una politica volta alla difesa dei più deboli, perché ha reso liberi i licenziamenti illegittimi rendendo più precario il lavoro e alienato le simpatie di quei lavoratori che non si sono più sentiti rappresentati da chi avrebbe dovuto invece tutelarli”.



RIFORMA PENSIONI, LE USCITE A 64 ANNI ALLO STUDIO

Complici le tensioni nella maggioranza sul tema e l’annunciata apertura di un confronto tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni, Quota 100 torna a essere oggetto di dibattito in questo inizio 2020. Alberto Brambilla, intervistato da Repubblica, ritiene che sia giusto far terminare la misura nel 2021. “Ma dopo lasciamo gli italiani tranquilli. E riformiamo le pensioni una volta per tutte. Propongo un’uscita a 64 anni di età e 38 di contributi, ma con ricalcolo contributivo. Una pensione di vecchiaia a 67 anni per tutti, adeguata all’aspettativa di vita. E un’anticipata con anzianità contributiva bloccata per sempre: 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne e i lavoratori precoci). Poi una pensione di garanzia per i giovani da 630 euro, ma con almeno 30 anni di contributi versati e senza i vincoli attuali. E l’abolizione dell’Ape sociale: i casi più difficili, come i lavori gravosi, vanno risolti con i fondi esuberi di categoria”.

LA PROPOSTA DI LEONARDI

Il quotidiano romano ha raccolto anche la voce di Marco Leonardi, secondo cui invece l’Ape sociale andrebbe estesa e resa strutturale e si potrebbe pensare a una nuova quota 100, ovvero “a un’uscita a 64 anni di età e 36 di contributi, ma con penalizzazione implicita dovuta al ricalcolo per intero con il contributivo”, “ma il punto di caduta finale potrebbe essere anche a 64 più 38, dipende dai costi che all’inizio sarebbero più alti, ma meno di quota 100, poi via via più bassi”. Con l’Ape social estesa resterebbe un’uscita a 63 anni per alcune categorie di lavoratori o di disoccupati più fragili.