LA RICHIESTA DI DE POLI (UDC)
Il Senatore dell’Udc Antonio De Poli invoca un intervento di riforma delle pensioni per aumentare l’importo delle minime. “Altroché reddito di cittadinanza. Io penso alle pensioni minime che oggi sono a 524 euro al mese, sotto i 780 euro del ‘reddito’ e, peggio ancora, secondo le proiezioni della ANP (Associazione nazionale pensionati) della CIA di Padova, tra mezzo secolo, si abbasseranno a 290 euro.
Sono cifre scandalose che non permettono una vita dignitosa. Il nostro dovere non è fare assistenzialismo a chi non vuole lavorare e stare a casa sul divano; come istituzioni dobbiamo aiutare gli anziani e i pensionati che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Qualcuno si è forse chiesto come, con gli aumenti record delle bollette di luce e gas, un pensionato che riceve la minima fa a sopravvivere?”. De Poli evidenzia anche che “la crisi sta colpendo tutti e nessuno, o forse in pochi, alzano la voce per tutelare” gli interessi dei nostri anziani e per rispondere ai loro bisogni.
AUMENTO ASSEGNI PENSIONI NEL 2023: COSA SUCCEDE
Se da un lato il cantiere della riforma pensioni per il 2022-2023 è tutt’altro che in “dirittura d’arrivo”, delle novità sul fronte previdenziale potrebbero arrivare già dal prossimo anno come conseguenza diretta dell’aumento dell’inflazione.
A differenza degli stipendi, le pensioni si adeguano ogni anno alla variazione dei prezzi: come nota “Il Giornale”, «a inizio 2022 c’è stato un incremento provvisorio dell’1,7% che poi è stato accertato all’1,9%, ragion per cui a gennaio prossimo ci sarà un piccolo conguaglio con il pagamento degli arretrati». A gennaio 2023 l’inflazione presumibilmente sarà ancora più forte rispetto a qualche mese fa e questo porterebbe a nuovi aumenti pensionistici: le stime della Bce parlano di un +6,8% sui prezzi che comporterebbe in una pensione media di 1000 euro un incremento di ben 68 euro mensili; su pensione da 2.500 euro l’aumento sarebbe di circa 153 euro. Tutto ovviamente se Bce e Governo non decideranno di frenare tale meccanismo, specie con la crisi di lavoro e salari che imperversa nell’area Euro. (agg. di Niccolò Magnani)
FRENI E LA POSIZIONE DELLA LEGA
Intervenendo alla trasmissione 24 Mattino, in onda su Radio 24, Federico Freni ha detto di avere “la certezza che si debba mettere mano alle pensioni entro la fine dell’anno perché nessuna delle forze in Parlamento ritiene che sia possibile che torni la Fornero così com’era e così come tornerebbe”.
Il sottosegretario al Mef ha ricordato che “la battaglia della Lega è per ‘quota 41’. Noi riteniamo che ‘quota 41’ sia un sistema previdenziale e non un episodio previdenziale come molti vorrebbero far pensare. Bisognerà valutare la sostenibilità di ‘quota 41’ nell’immediato e nel lungo tempo, c’è la possibilità di valutare degli scivoli verso quota 41 ma certamente quella impostazione di sistema la vorremmo mantenere”. E che la Lega tenga al tema delle pensioni lo ha ribadito ieri Matteo Salvini, ospite di Porta a Porta, la trasmissione di Rai 1. “Noi peseremo il governo e l’incisività della Lega del governo su questo: lavoro, tasse e pensioni”, ha detto infatti l’ex ministro dell’Interno, come riporta Ansa.
LE PAROLE DI FORNARO
Di fronte ai dati sulla povertà diffusi dall’Istat, Federico Fornaro ricorda che “l’aumento delle bollette, l’inflazione in salita e l’aumento dei prezzi dei carburanti stanno erodendo i redditi delle famiglie.
Se a questo aggiungiamo la perdita di potere d’acquisto dei salari fermi da oltre trenta anni, i contratti pirata, il lavoro povero, la precarietà e il lavoro nero nel prossimo futuro rischiamo l’aumento di quanti non riescono più ad affrontare le spese quotidiane. Una vera e propria bomba sociale che si può disinnescare solamente con una politica dei redditi a protezione del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni. Occorre intervenire subito”. In questo senso, come riporta Ansa, il capogruppo alla Camera di LeU ricorda che “il salario minimo non è la soluzione ma sicuramente può essere una delle cure” e che il bonus una tantum da 200 euro per i redditi fino a 35.000 euro annui andrebbe ampliato “a quanti oggi non sono compresi”.
RIFORMA PENSIONI, IL VUOTO NELLA SANITÀ
In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore vengono ricordate le criticità del Sistema sanitario nazionale frutto anche “di 10 anni di mancato turn over e tetti di spesa”, come evidenzia Giovanni Migliore, Presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere. Grazie anche alle misure di riforma delle pensioni “il Ssn ha perso oltre il 6% del suo personale e il trend continua anche perché ogni anno vanno in pensione 20mila operatori e il sistema formativo ne ‘produce’ solo 14 mila”. Migliore chiede intanto una “legislazione d’emergenza che ci permetta per qualche anno di far lavorare non solo i giovani specializzandi, ma anche i semplici laureati in medicina, in attesa che arrivino i nuovi giovani formati con le borse di specializzazione che finalmente sono cresciute”.
IL MANCATO TURN OVER NELLA PA
La situazione non è comunque ottimale nemmeno nel resto della Pubblica amministrazione. In apertura del Forum Pa, come riporta Ansa, sono stati infatti ricordati i dati Inps dai quali si arriva alla conclusione che nel pubblico impiego “a fine 2022 avremo circa 94,4 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi (erano 73 nel 2002)'”. L’anno scorso “si è assistito ad una crescita percentuale dei pensionamenti per anzianità (il 59% del totale) rispetto a quelli per vecchiaia (il 17,8%), effetto anche di Quota 100 (entrato in vigore nel 2019 e concluso a dicembre 2021), di cui hanno beneficato nel triennio 166 mila impiegati pubblici”. Va inoltre detto che quest’anno 169 mila lavoratori pubblici matureranno i requisiti necessari per accedere a Quota 102, e 430 mila avranno età compresa tra i 62 e i 66 anni, “per cui è presumibile un’ulteriore accelerazione di uscite”.
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