L’ALLARME DI ALTROCONSUMO

Come riporta Adnkronos, Altroconsumo ha voluto ricordare i problemi da risolvere che rischiano di restare tali nel caso la crisi di governo determini un’instabilità politica importante per il Paese, tra cui la riforma delle pensioni.

Altroconsumo ricorda che “dopo l’estate occorre intervenire sul sistema pensionistico, infatti a dicembre 2022 scadranno Quota 102, l’Ape sociale e la possibilità di aderire ad Opzione donna. Da tempo è attesa una riforma strutturale dell’attuale sistema pensionistico, ma il problema della scadenza di detti provvedimenti comporta una discussione parlamentare che necessita stabilità e tempo. Ridurla agli ultimi mesi dell’anno potrebbe comportare il decadimento delle opportunità date ai lavoratori di maggior flessibilità in uscita dal mondo del lavoro”. Vedremo se, nel caso di soluzione positiva della crisi, si riuscirà comunque ad andare nella direzione auspicata oppure se ci saranno, come l’anno scorso, alcune difficoltà a trovare una quadra in tema di pensioni.



PROIETTI (UIL) SUL FUTURO DELLA RIFORMA PENSIONI DOPO IL 2022

Raggiunto dal portale “Pensioni per tutti”, il segretario confederale Uil Domenico Proietti riflette sulle possibili conseguenze di una caduta del Governo sul fronte, molto delicato, della prossima riforma pensioni dopo il 2022. «Come Uil, ma credo di centrare anche il parere di Cigl e Cisl, non rientra nelle nostre intenzioni quella di arrenderci al contesto, certo la situazione, inutile negarlo, non sarà e non é delle più facili, ma come sindacato faremo sempre di tutto per proseguire nel nostro pressing, indipendentemente dal Governo con cui dovremmo confrontarci. Il nostro scopo, come triplice, resta sempre uno: convincere l’esecutivo che una flessibilità in uscita permetterebbe anche quel turnover generazionale tanto importante per i nuovi ingressi nel mercato del lavoro», spiega il sindacalista.



Sempre dalla Uil, si ravvisa come sui lavoratori più anziani dopo 41 anni di lavoro – o con 62 anni di età – meritano comunque di avere un’alternativa che non sia il ritorno alla riforma Fornero: « é giusto che sia concessa loro la possibilità di accedere alla quiescenza con qualche anno di anticipo rispetto alla rigida Riforma Fornero. E poi inutile dimenticarci che i lavori non sono tutti uguali, vi é chi a 62 anni potrà ancora avere il piacere e la forza di lavorare e chi non può più permettersi di salire su un ponteggio o lavorare in linea o commettere errori in ospedale». Proietti si unisce agli appelli di Cgil e Cisl sul prosieguo di questi ultimi mesi di legislatura: «su questi punti cardine la nostra ‘lotta’ proseguirà affinché si avvii col Governo in carico, qualunque esso sia, una proficua discussione che porti ad una vera, equa e condivisa riforma delle pensioni che i lavoratori attendono ormai da troppi anni». (agg. di Niccolò Magnani)



LA POSIZIONE DELLA LEGA

Stando a quanto riporta Lapresse, in uno scambio di opinioni tra Matteo Salvini e alcuni parlamentari a margine dell’assemblea della Lega, il leader del Carroccio avrebbe detto: “Stimo Draghi, ma con un Parlamento così bloccato e litigioso, in mano a decine di cambiatori di partito per interesse personale, e con alcuni ministri di sinistra palesemente inadeguati, è difficile fare qualcosa di utile per gli italiani nei prossimi mesi.

Aumento di stipendi e pensioni, Flat Tax e pace fiscale, autonomia e blocco dell’immigrazione clandestina, abolizione della Fornero e Quota41, ritorno al nucleare pulito e difesa della famiglia”. Tra i parlamentari della Lega sarebbe anche emersa una certa insofferenza “per un Pd che continua a parlare di Ius Soli e immigrazione, di droga libera e Ddl Zan, mentre per la Lega e gli italiani le priorità sono lavoro, pensioni, ambiente e sicurezza”. Indiscrezioni che confermano comunque la volontà del partito di Salvini di continuare a insistere per una riforma delle pensioni all’insegna di Quota 41 per rimpiazzare Quota 102.

LE PAROLE DI SBARRA E LANDINI

Intervistato dal Tg3, Luigi Sbarra, evidenza che la crisi di governo è “per certi versi assurda perché arriva su un provvedimento legislativo che mette in campo 23 miliardi di sostegni ai lavoratori , pensionati, famiglie e imprese.

Il Paese ha necessità soprattutto in questa fase di stabilità e di governabilità”. Per il Segretario generale della Cisl, “bisogna salvaguardare e tutelare il potere di acquisto di salari, stipendi, pensioni così fortemente minacciati dall’inflazione, dall’aumento dei prezzi energetici, dei beni alimentari”. Maurizio Landini, come riporta l’edizione locale di Repubblica, a margine dell’assemblea della Cgil a Bari ha ricordato che è il momento “di fare le riforme serie, a partire dalla riforma fiscale e dalla necessità di creare lavoro attraverso politiche industriali di investimento che rilancino il nostro Paese. Noi come organizzazioni sindacali abbiamo avanzato proposte molto precise, ad esempio di aumentare la tassazione sugli extraprofitti, così come pensiamo che sia il momento di andare a ridurre il carico fiscale sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, a partire dai redditi e dalle pensioni più basse”.

RIFORMA PENSIONI, LE CAUSE DEL GENDER GAP

In un articolo pubblicato su lavoce.info e su Domani, Alessandra Casarico e Massimo Taddei affrontano il tema del gender gap nelle pensioni, dovuto principalmente a tre fattori: “retribuzione oraria, tempi di lavoro e anzianità contributiva”. Per quanto riguarda l’ultimo punto, gli autori ricordano che “per ragioni legate soprattutto alla maternità e alla cura della casa e della famiglia, le donne tendono ad avere carriere contributive discontinue, con pesanti conseguenze sull’assegno pensionistico e sulla possibilità di anticipare il pensionamento. Nel 2001, l’anzianità contributiva delle pensionate era in media del 40 per cento inferiore rispetto agli uomini. Il divario si è ridotto al 25 per cento nel 2021, segnalando la traiettoria corretta nella partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma rimane ancora molto alto”.

IL PROBLEMA DELL’ANZIANITÀ CONTRIBUTIVA

Casarico e Taddei spiegano in questo senso che “in media, le donne che vanno in pensione hanno 350 settimane di lavoro – oltre sei anni e mezzo – in meno rispetto agli uomini”. Dunque occorrerebbe aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro per avere “una riduzione dei differenziali di genere nei redditi pensionistici”. Ma forse manca la consapevolezza delle dirette interessate sul tema, visto che da uno “studio in corso su dati tedeschi” “emerge chiaramente come la penalizzazione delle donne sia in età lavorativa che nel periodo di pensionamento percepita dagli intervistati sia inferiore rispetto alla realtà”. C’è chiedersi che cosa si scoprirebbe in caso di un’analogo ricerca condotta in Italia.

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