LE PAROLE DI PACIFICO
In un’intervista a Teleborsa, Marcello Pacifico spiega che si sono registrate poche domande di pensionamento “perché Quota 102 e Opzione Donna penalizzano chi lavora a scuola, in quanto bisogna lavorare 43 anni per avere una pensione ridotta del 35% se si vuole andare in pensione qualche anno prima a 63-64 anni” e “questo è criminale perché si lavora tutta una vita intera e, d’altronde, nella scuola è stato registrato il più alto livello di burnout nell’ambito del pubblico impiego, ma non c’è ancora una finestra”. Infatti, l’Anief, il sindacato presieduto da Pacifico, da tempo chiede una misura di riforma pensioni che preveda “una finestra non penalizzante per il personale della scuola, che vada a svecchiare il personale più vecchio al mondo e, nel contempo, vada a riconoscere il lavoro svolto e gli anni di formazione a partire dal riscatto gratuito degli anni universitari per un titolo che oggi è considerato titolo di accesso a questa professione”. Una finestra che per l’Anief dovrebbe consentire il pensionamento dai 60 anni.
ALLARME SINDACATI SUL DEF: E LE PENSIONI?
«Draghi ha proposto un confronto maggiore con le parti che possa restare tale o possa anche portare ad un patto. Per noi però è importante il contenuto non il contenitore. In questo momento lavoratori, pensionati e precari hanno già dato, devono prendere. Per fare un patto servono accordi concreti»: è allarmato il segretario della Cgil Maurizio Landini, uscito dal confronto sindacati-Draghi a Palazzo Chigi.
Nel Def non vi è alcun riferimento specifico alla riforma pensioni da adottare dal 2023, le priorità sono state per il momento scandite in altro (vi è solo una generica richiesta di riordino pensioni per gli assegni di invalidità). L’impressione è che dovrà avvenire qualcosa di ingente tra il Def e la Manovra in autunno, altrimenti il rischio è che rimanendo tutto intatto possa rispuntare la Legge Fornero dal 2023 (quando scadrà la Quota 102, ndr). «Sul metodo ci siamo. Nel merito rispetto alle risposte da dare a cittadini non ci siamo ancora. Aspettiamo», aggiunge il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri. Per il segretario confederale Cisl Giulio Romani, non tutto è perduto ma sicuramente occorre fare molto di più anche sul fronte previdenza: «Abbiamo approvato l’idea di costruire un patto sociale ma va ovviamente riempito di contenuti e di merito». (agg. di Niccolò Magnani)
I BENEFICI FISCALI PER LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Flavio De Benedictis, legale e consulente del Mefop con competenze di risparmio previdenziale, intervistato da Milano Finanza ricorda che “i contributi versati a una forma pensionistica complementare sono deducibili dal reddito complessivo tassabile ai fini Irpef entro il limite annuale generale di 5.164,57 euro”. C’è da tenere presente che “con le nuove aliquote in vigore da quest’anno si è leggermente ridotto il beneficio fiscale per i contribuenti con redditi fino a 50mila euro, ai quali trovano applicazione le aliquote del 25 e 35% -in sostituzione delle precedenti 27% e 38%- mentre è aumentata la convenienza a dedurre contributi di previdenza complementare per i contribuenti con redditi da 50 a 75mila euro, ai quali trova applicazione la nuova aliquota marginale del 43%, in sostituzione delle precedenti 38% e 41%. Nulla cambia per i percettori di redditi superiori a 75mila euro, che continuano a scontare l’aliquota massima del 43%” e che “i contributi versati dal datore di lavoro sono direttamente scomputati dalla formazione del reddito di lavoro”.
RIFORMA PENSIONI, NESSUN RIFERIMENTO NEL DEF
Il Governo ha varato il Def, ma di fatto si parla solo di riforma delle pensioni nell’ottica, come spiega Valentina Conte su Repubblica, di una legge di riordino di quelle di invalidità. Il Sole 24 Ore evidenza che nel Documento di economia e finanza viene indicato “in un +2% l’aumento delle uscite per prestazioni pensionistiche nel 2021. E nel tradizionale ‘focus’ sulle tendenze di medio-lungo periodo, si mette in evidenza come già tra il 2023 e il 2025 la spesa tornerà a salire, anche a causa della maggiore indicizzazione degli assegni, toccando il 16,1% del Pil, prima dell’impennata a quota 17,4% nel 2036”. Resta ora da capire quale sarà la reazione dei sindacati al mancato inserimento nel Def di un’indicazione su come “rimpiazzare” Quota 102 alla fine dell’anno. Probabilmente nell’incontro odierno tra Cgil, Cisl, Uil e Draghi si capirà meglio la posizione delle confederazioni che nei giorni scorsi erano tornate a chiedere di riaprire il confronto sulle pensioni interrotto da prima dello scoppio del conflitto in Ucraina.
RIFORMA PENSIONI 2022, L’ANALISI DI CAMILLERI
Michaela Camilleri, in un articolo pubblicato sul sito di Itinerari Previdenziali, evidenzia che i dati del Casellario Centrale dei pensionati, rielaborati nel Nono Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano curato da Itinerari Previdenziali smentisce due importanti luoghi comuni del dibattito relativo alla riforma delle pensioni: “Le donne ricevono, in media, assegni di gran lunga più bassi rispetto a quelli degli uomini” e “oltre la metà delle pensioni è di importo inferiore a 1.000 euro al mese”. Sul primo punto c’è da dire che effettivamente “il reddito pensionistico annuo delle donne arriva a 16.233 euro contro i 22.351 euro degli uomini”, ma “le donne registrano un maggior numero di pensioni pro-capite, in media 1,51 prestazioni a tilsussidiario.net/…ne-delle-donne/2319503esta, a fronte dell’1,32 degli uomini”.
RIFORMA PENSIONI 2022, I DATI SUL GAP DI GENERE
Inoltre, sempre nell’ambito della riforma pensioni “prevalgono tra i percettori di pensioni ai superstiti (87% del totale), nelle prestazioni prodotte da ‘contribuzione volontaria’, che normalmente sono di modesto importo a causa di livelli contributivi molto bassi, e nelle pensioni integrate al minimo (85,7% del totale). Per tutti questi motivi, la maggior parte delle pensionate beneficia dell’importo aggiuntivo, delle maggiorazioni sociali e della quattordicesima mensilità”. Secondo Camilleri, “affermare, dunque, in modo non analitico ma con elementare operazione di divisione, che le donne ricevono una prestazione di gran lunga minore rispetto agli uomini è sì corretto dal punto di vista formale ma non da quello sostanziale”. Dal suo punto di vista, occorre “migliorare oggi la condizione lavorativa femminile” “per superare in futuro questo gap previdenziale tra i generi”.
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