IL COMMENTO DI DAMIANO
Cesare Damiano non cambia il suo giudizio negativo sul blocco parziale delle indicizzazioni delle pensioni contenuto nella Legge di bilancio nonostante la modifica apportata con un emendamento dell’Esecutivo. “La correzione del Governo annunciata da Giorgetti è a dir poco omeopatica: alza dall’80 all’85% il recupero dell’inflazione della fascia compresa tra i 2.000 e 2.500 euro lordi e, per compensare, taglia ulteriormente le fasce superiori. Il Governo Draghi aveva parzialmente ripristinato un meccanismo di indicizzazione delle pensioni socialmente più equo: questo Governo ha messo la retromarcia. Chi ha da tempo teorizzato il progressivo impoverimento del ceto medio può oggi constatare che l’obiettivo è stato messo in pratica”, sono le parole dell’ex ministro del Lavoro, che aggiunge: “Non va poi dimenticato che le pensioni medie, quelle superiori alle 4 volte il minimo (circa 2.100 euro lordi e 1.600 netti), hanno già perso negli ultimi anni il 10% del loro potere d’acquisto”.
RIFORMA PENSIONI OPZIONE DONNA NON CAMBIA: ECCO PERCHÈ
Mentre si attende ancora il via libera definitivo della Commissione Bilancio sulla Manovra, in merito alla riforma pensioni 2023 giunge conferma sulla permanenza delle norme di Opzione Donna come contenute nella prima bozza. Negli emendamenti del governo non compare infatti alcuna modifica della misura: al momento dunque resta per il 2023 la possibilità di anticipare la pensione con età di 60 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni), ma solo per tre categorie specifiche di lavoratrici. Si tratta di caregiver, invalide almeno al 74%, licenziate o dipendenti da aziende con tavolo di crisi.
«Opzione donna è una misura che ha espetti condivisi e importanti, ma ha anche costi elevati non solo per l’anno in corso, ma anche per quelli a venire», spiega Roberto Pella, deputato di Forza Italia e relatore della manovra economica, al quotidiano online iNews24. Sempre per il parlamentare, la riforma pensioni di Opzione Donna «Pur bella e importante che sia, in questo momento incide sul bilancio dello Stato. È ampiamente condivisa ma è difficile sostenerne costi, purtroppo non si può fare tutto». (Agg di Niccolò Magnani)
LE PAROLE DI LICIA RONZULLI
Come riporta Ansa, Licia Ronzulli evidenzia che “fino a poche settimane fa, l’aumento delle pensioni minime a 600 euro per gli over 75 sembrava una chimera, ora sta per diventare realtà. Per chi percepisce una pensione minima, 100 euro fanno la differenza, anche se non rinunciamo al nostro obiettivo di legislatura che rimane quello di portarle a 1.000”. La capogruppo al Senato di Forza Italia aggiunge che “c’è chi sostiene che questi 100 euro siano spiccioli, forse sono stati seduti sulla poltrona parlamentare per troppo tempo e non sanno quanto costa la vita. Ricordo loro che l’ultimo governo che ha aumentato le pensioni minime è stato quello del presidente Berlusconi dopodiché nulla è stato fatto”. “Grazie a Forza Italia e al governo Meloni tanti italiani che, dopo aver lavorato una vita, prendevano una pensione poco superiore a 500 euro, avranno un assegno più pesante e un sostegno concreto da parte dello Stato. L’aumento delle pensioni minime a 600 euro per chi ha più di 75 anni è una misura di civiltà”, sono invece le parole di Matilde Siracusano, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento.
LO SPIAZZAMENTO PER I PENSIONATI
Si discute non poco della misura di riforma delle pensioni contenuta nella Legge di bilancio che prevede un blocco parziale delle indicizzazioni. In proposito, Fernando Di Nicola, in un articolo pubblicato su lavoce.info, ricorda che “il pensionato non ha la possibilità di variare i prezzi dei propri servizi, come può accadere agli autonomi, o contrattare i recuperi dell’inflazione, come può accadere ai dipendenti. Nella decisione sul pensionamento (quando consentito) entra dunque anche la valutazione del potere di acquisto, atteso come costante fino alla morte, proprio in virtù dell’indicizzazione. Intervenire sui già pensionati riducendone il potere di acquisto, oltre che una disparità di trattamento rispetto agli altri redditi, è anche uno spiazzamento economico profondo, tanto più pesante quanto più alta è l’inflazione, quanto più si abbassano le percentuali di adeguamento al crescere del reddito (oggi fino al 35 per cento, cioè con perdita di potere di acquisto vicina ai due terzi dell’inflazione) e quanto peggio viene progettato il decalage”.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI BRAMBILLA
In un articolo pubblicato su L’Economia, inserto settimanale del Corriere della Sera, Alberto Brambilla ricorda che “la super valutazione delle pensioni minime riguarda 6 milioni di beneficiari tra cui gli sfortunati (molto pochi), gli evasori (molti), mentre vengono ancora penalizzati, modificando l’ottima ed equa legge Draghi, gli 1,5 milioni di pensionati tra i 2.600 euro lordi e i 5.200 euro (da 5 volte il minimo fino a 10) e i 230.000 euro che prendono da 5.200 euro lordi al mese (10 volte il minimo in su) e che già pagano una montagna di tasse che i 6 milioni di beneficiari di pensioni fino a 2 volte il minimo non pagano affatto e i 6,6 milioni tra 2 e 4 volte il minimo pagano in misura ridotta”.
IL DANNO NEI PROSSIMI DIECI ANNI
Il Presidente di Itinerari previdenziali evidenzia anche quelli che sono i danni che subiranno i pensionati che non riceveranno la piena indicizzazione dei loro assegni nei prossimi anni, dopo il biennio di blocco parziale stabilito con la Legge di bilancio, spiegando che dal 2024 al 2033, “ipotizzando un’inflazione molto prudenziale del 2% annua, le rendite di 2.626,90 euro ne perderanno più di 11 mila”. La perdita per gli assegni di importo più elevato supererebbe persino i 100.000 euro, sempre considerando l’arco decennale. “Insomma, nei prossimi 10 anni questi pensionati meritevoli oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef sulle pensioni si vedranno levare altri 45 miliardi circa, alla faccia del merito e del senso del dovere”. E questi conti potrebbero anche peggiorare tenuto conto dell’ultimo emendamento governativo sulle rivalutazioni.
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