LE PAROLE DI BENTIVOGLI
Nello studio della trasmissione di La7 “La corsa al voto”, Marco Bentivogli ha chiesto a Claudio Durigon, anch’egli ospite del programma, visto che la Lega ha scelto Quota 41 come misura di riforma pensioni per il post Quota 102, “perché non l’avete fatta quando eravate al Governo?”.
L’ex Segretario generale della Fim-Cisl ha anche ricordato che Quota 100 avrebbe dovuto creare posti di lavoro, precisamente tre per ogni pensionato, ma in base ai dati Inps è avvenuto il contrario, cioè ogni tre pensionati c’è stato circa un nuovo assunto. “E soprattutto la gran parte delle aziende ha usato Quota 100 per fare ristrutturazione aziendale”, che “significa fare lo stesso lavoro con meno lavoratori. A questo è servita Quota 100”. Bentivogli ha anche evidenziato l’importanza di considerare i lavori diversi tra loro anche dal punto di vista del raggiungimento del traguardo previdenziale, cosa che non avviene quando demagogicamente si sostiene che tutti i lavori siano uguali.
LA RIFORMA PENSIONI SECONDO DAMIANO (E NON È LA QUOTA 41)
Ospite del TgPlus di Radio Cusano Campus, l’ex Ministro del Lavoro Cesare Damiano – oggi Presidente dell’Associazione Lavoro & Welfare – ha sostanzialmente bocciato la proposta della Lega sulla riforma pensioni con Quota 41, ritenuta invece fattibile e sostenibile secondo i sindacati. «Quota 41 è in realtà un termine improprio, per quota, spiega, si intende la somma tra l’ età e i contributi della medesima persona che si devono raggiungere per andare in pensione. Dunque si tratta di una definizione propagandistica ma impropria, l’età in questo caso non c’entra», ha attaccato l’ex Ministro in area Pd.
Per Damiano, dato che la riforma pensioni rilanciata dal Centrodestra leghista sostiene l’uscita dal lavoro con 41 anni di contributivi indipendentemente dall’età, con la Quota 41 «si riconosce che una persona avendo lavorato continuamente per 41 anni hai il diritto al riposo». Cesare Damiano non sposa però il ritorno della riforma Fornero, semmai spinge per un sistema sempre più «flessibile in uscita per chi svolge un lavoro ‘normale’, un contabile, ad esempio». (agg. di Niccolò Magnani)
I DATI DELLA RGS
Come ricorda Il Sole 24 Ore, nell’ultimo rapporto sulla previdenza della Ragioneria Generale dello Stato viene evidenziato che gli interventi di riforma delle pensioni varati dal 2004 hanno “generato una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil pari a circa 60 punti percentuali cumulati al 2060. Di questi – si sottolinea – circa un terzo è dovuto agli interventi previsti con la riforma del 2011”.
Dunque la Legge Fornero da sola varrebbe 20 punti di debito/Pil in meno cumulati al 2060. Anche se, le misure che hanno introdotto delle deroghe dopo il 2012 “hanno determinato un ampliamento della spesa e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento, producendo nel periodo 2019-2034, ulteriori maggiori oneri pari in media a 0,23 punti di Pil l’anno”. Secondo il quotidiano di Confindustria, “il messaggio, numeri alla mano, è abbastanza chiaro”: ulteriori deroghe alla Legge Fornero avrebbero effetti contabili da non sottovalutare.
LE PAROLE DI SALVINI
Matteo Salvini, intervistato dal Tg1, come riporta Italpress, in tema di riforma delle pensioni ha evidenziato che” la Legge Fornero va azzerata e quota 41 ha il sostegno di tutti i sindacati e costerebbe solo un miliardo che darebbe finalmente a 800mila lavoratrici e lavoratori la possibilità di andare in pensione”.
Alessandro Cattaneo, invece, intervistato dal Giornale, ha ricordato che “Berlusconi è forte della sua storia ed è sempre garanzia di consenso e di crescita nei sondaggi. Le persone voteranno per ciò che sentono sulla pelle, come le bollette. E lui è credibile davanti agli elettori, essendo un politico che ha lasciato il segno. Mentre la sinistra fa ironia, per esempio, i pensionati si ricordano che ad aver aumentato le pensioni è stato proprio Berlusconi”. Parole che rilanciano, quindi, anche la promessa dell’ex Premier di portare l’importo delle minime a 1.000 euro al mese per tredici mensilità.
RIFORMA PENSIONI, LA SCARSA FIDUCIA DEGLI ITALIANI
Dal Retirement Perception Index, elaborato da Alight Solutions, fornitore leader di soluzioni digitali integrate per il capitale umano e il business, in collaborazione con l’Università di Granada (con interviste in Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Spagna e Paesi Bassi), emerge che in Italia, sulla base del campione analizzato, meno del 40% degli intervistati “ripone molta fiducia nella possibilità di ricevere una pensione al termine della carriera lavorativa; il 25,5% ripone una fiducia molto bassa nella possibilità di ricevere un importo che gli permetterà di mantenere il proprio tenore di vita, dovuto probabilmente al fatto che il 68% degli italiani intervistati percepisce una retribuzione inferiore ai 30.000€ (35% tra i 20.000€ e i 30.000€ e 33% sotto i 20.000€)”.
I RISULTATI DELL’INDAGINE
Dall’indagine emerge anche che nel nostro Paese “l’attenzione ai contributi è elevata, in particolare il 64,5% degli intervistati mostra un interesse alto o molto alto a lavorare in aziende che versino, oltre al compenso, contributi integrativi in un piano pensionistico a conferma di quanto le aziende dovrebbero iniziare a scegliere politiche retributive che attribuiscano maggiore importanza ai piani pensionistici. Infine, la mancanza di informazioni riguardo le pensioni da parte delle aziende è un elemento che infonde insicurezza e contribuisce ad alimentare la sfiducia nei confronti del sistema pensionistico. In particolare, il 25,8% afferma di conoscere poco o molto poco il funzionamento del sistema pensionistico italiano”. Un problema di non poco conto.
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