LA NOTA DI FLORIDIA (M5S)

“In conferenza stampa è arrivata dalla presidente Meloni una clamorosa ammissione: questa manovra fa cassa sui pensionati. Lo ha ammesso candidamente, parlando della maggior parte delle risorse recuperate con un intervento sull’indicizzazione delle pensioni”. È quanto evidenzia Barbara Floridia in una nota riportata da Ansa. La Presidente del gruppo M5S del Senato spiega che la Premier ha “provato ad alterare la rappresentazione dello stesso intervento circoscrivendolo alle ‘pensioni molto alte’. Siamo allibiti e indignati. Quelle che secondo la Meloni sarebbero molto alte, sono pensioni di 1.700-1.800 euro al mese, con le quali spesso vivono intere famiglie oggi sfibrate dall’inflazione. Definire questi trattamenti molto alti o tradisce un totale scollamento dalla realtà, o rappresenta una volgare menzogna servita al Paese per provare a camuffare la vera natura di taglio da macelleria”. Un taglio che “non riguarda solo le pensioni, ma anche gli investimenti, la sanità, l’istruzione”.



MANOVRA APPROVATA, COME CAMBIA LA RIFORMA PENSIONI

Con 107 Sì anche al Senato viene approvata la Manovra di Bilancio 2023 che diviene così legge ufficiale dello Stato: confermato in blocco il pacchetto di norme sulla riforma pensioni “anticipata” dal Governo Meloni in attesa di formularne una strutturale per il 2023. Sul fronte pensioni minime l’assegno passa da 500 a 600 euro per gli over-75, mentre per gli altri salgono a 571,6 euro. Riviste le le aliquote di rivalutazione delle pensioni per il recupero dell’inflazione: qui però il Governo Meloni attua una scelta di non aumentarle indistintamente a tutti, come sottolineato dalla stessa Presidente del Consiglio oggi in conferenza stampa di fine anno.



«Abbiamo spostato diverse risorse sul futuro, sui giovani e sulle imprese per produrre nuova ricchezza e occupazione: abbiamo scelto di prenderla dalla non indicizzazione totale sulle pensioni più alte», ha detto la Premier Giorgia Meloni. L’aumento delle pensioni resta del 7,3% per quelle fino a 4 volte il minimo: cala per le pensioni oltre quella soglia, al 6,2% per gli assegni fino a 5 volte il minimo (pari a circa 1.600 euro netti), 3,8% tra 5 e 6 volte il minimo. In merito invece alla Quota 103, per il solo 2023 la riforma pensioni prevede: chi avrà 62 anni di età e 41 anni di contributi, potrà lasciare il lavoro in anticipo con un assegno che non sarà cumulabile con altri redditi da lavoro. Limite fissato a 5 volte il minimo, pari a circa 2.600 euro lordi: arrivato poi l’età pensionabile di 67 anni, l’importo torna pieno. Senza anticipo pensionistico può essere utilizzato il “bonus Maroni”: rinunciare a tutti i contributi dovuti dal datore di lavoro che finiscono così in busta paga, senza che questo faccia concorrere al computo della pensione finale. (agg. di Niccolò Magnani)



FRENI RISPONDE A MARATTIN

Luigi Marattin, deputato di Italia Viva, ha commentato ieri le dichiarazioni di Federico Freni sull’introduzione di Quota 41 con un post su Facebook che inizia così: “E naturalmente i 75 mld di euro che questa cosa costerebbe (da qui al 2031) li chiediamo tutti al sottosegretario Freni e al suo partito”. Il sottosegretario all’Economia ha prontamente replicato in un’intervista uscita oggi su Repubblica: “Ma come? Ero d’accordo con il mio amico Luigi Marattin che avremmo fatto metà per uno: vabbè, pagherò di tasca mia. Al di là delle battute, quota 41 senza paletti anagrafici è un obiettivo di legislatura, come ogni riforma seria vuole il suo tempo. Abbiamo di fronte cinque anni di lavoro, non cinque mesi”. Freni ha anche detto che per l’anno prossimo “ci attendono molte sfide: dalla riforma del fisco alla trattativa sulla revisione del Patto di stabilità, dal completamento della riforma previdenziale sino allo sviluppo compiuto di politiche energetiche ed industriali che traghettino il Paese nel futuro”.

LE PAROLE DI CAPPUCCIO (PREVIMODA)

In un’intervista a Milano Finanza, Fabio Cappuccio, direttore generale di Previmoda, fondo pensione complementare a capitalizzazione per i lavoratori dell’industria tessile-abbigliamento, delle calzature e degli altri settori del sistema moda, spiega che “quest’anno il confronto tra il rendimento del fondo e il Tfr sarà sicuramente a favore di quest’ultimo perché si rivaluta in base all’inflazione. Ricordiamo sempre all’iscritto che l’investimento nel fondo pensione non deve essere valutato nel singolo anno, ma nel lungo periodo, e se prendiamo il nostro iscritto tipo dall’avvio del fondo – luglio 2000 – o negli ultimi 10 anni nel confronto il fondo ne esce sempre vincente”. Secondo Cappuccio, per incentivare la previdenza complementare “sarebbe necessario intervenire in modo deciso introducendo, soprattutto per i neoassunti e i giovani, l’adesione automatica al fondo pensione collettivo di riferimento con il Tfr e la quota minima di contribuzione a carico del lavoratore e dell’azienda, prevedendo la possibilità di un eventuale recesso entro un determinato periodo”.

RIFORMA PENSIONI, IL PIANO SULLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Il 19 gennaio è in programma un incontro tra Governo e sindacati per affrontare il tema della riforma delle pensioni che dovrà essere varata l’anno prossimo. Come spiega Il Sole 24 Ore, tra i temi sul tavolo ci sarà anche quello della previdenza complementare “in versione semi-obbligatoria”. Il quotidiano di Confindustria evidenzia che “la strategia abbozzata dal ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, prevede un intervento per favorire la destinazione del Tfr ai fondi pensione, che potrebbe non essere limitato alla riproposizione di un nuovo semestre di ‘silenzio-assenso’ chiesta dai sindacati, e un adeguamento della soglia di deducibilità dei contributi destinati alle forme integrative. Ma nel menù sono destinate a entrare altre agevolazioni fiscali”.

LA POSSIBILITÀ DI INCENTIVI FISCALI MIRATI

Dunque, “Calderone è intenzionata a premere a fondo sull’ acceleratore, potendo contare, almeno su questo versante, sulla sostanziale sponda dei sindacati. Nel mirino c’è la soglia di deducibilità dei contributi versati alle forme integrative, attualmente fissata a 5.164,57 euro”. A questo proposito, ricorda Il Sole, “nell’ultimo rapporto della Covip si afferma che ‘andrebbe anche valorizzata la possibilità – oggi prevista solo nella fase di ingresso nel mercato del lavoro – di riportare in anni successivi la deducibilità non goduta in un determinato periodo di imposta’”. Sembra poi che “dal tavolo con le parti sociali potrebbe emergere anche l’esigenza di ricorrere a incentivi fiscali mirati per rendere più appetibile l’adesione alla previdenza complementare”. Non resta quindi che aspettare.

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