RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI SU “LA RAGIONE”

In un articolo pubblicato sulla Ragione, Giuliano Cazzola, Giovanna Guzzetti e Franco Vergnano scrivono che “il virus della ‘pensionite’ ha seguito il ciclo del Covid-19: prima ha contaminato gli anziani e poi è arrivato fino ai bambini, passando per i giovani che entrano nel mercato del lavoro, molti dei quali al momento dell’assunzione chiedono ai responsabili delle risorse umane quando potranno andare in quiescenza. Del resto l’Italia è un Paese di anziani ancora giovani, in pensione da anni e destinati a restare in tale condizione per almeno un ventennio con un ulteriore periodo di reversibilità alla signora che, di consueto, da vedova rifiorisce. Cosa dire di questa propensione tutta italiana, che fra un po’ entrerà a far parte del Dna dei neonati? Siamo noi quelli che hanno dato l’esempio, mettendo le pensioni in cima ai nostri pensieri”.



L’ESEMPIO NEGATIVO PER I GIOVANI

Secondo i tre autori, ci si dovrebbe, quindi, rendere “conto del male che facciamo alle nuove generazioni diffondendo modelli diseducativi, oltre a lasciar loro in eredità un bel po’ di debiti. Basta osservare le rivendicazioni dei sindacati e i programmi di quasi tutti i partiti. S’invocano e si promettono misure che anticipano ancora l’età pensionabile, in controtendenza con il declino demografico e con l’incremento delle attese di vita. Eppure già adesso sembra essere problematica la spesa derivante dalle norme per la rivalutazione automatica delle pensioni. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, ipotizzando un’inflazione superiore di due punti rispetto al 5,8% previsto nel Def per il 2022, la rivalutazione degli assegni costerà circa 32 miliardi nei prossimi tre anni (5,7 miliardi nel 2023, 11,2 nel 2024, 15,2 nel 2025) che andranno a beneficio degli oltre 16 milioni di pensionati”.



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