RIFORMA PENSIONI. Questa era una settimana importante per quanto riguarda la nuova riforma delle pensioni perché è stato approvato in Consiglio dei ministri il Def e nella giornata del 7 aprile vi è stato l’incontro Governo-sindacati in merito alla situazione economico-sociale creatasi in Italia in seguito alla guerra russo-ucraina scoppiata in febbraio.
Le aspettative erano parecchie perché all’inizio dell’anno il Premier Draghi aveva affermato di voler trovare un’intesa in ambito previdenziale con le parti sociali per poi inserire le basi dell’accordo nel Def, indicando anche quanti denari sarebbero stati messi sul tavolo di una riforma delle pensioni che i cittadini italiani aspettano da oltre dieci anni.
Poi sappiamo tutti com’è andata, con alcuni incontri tecnici che si sono svolti nel mese di gennaio che sembravano preludere a una possibile intesa e poi una brusca interruzione a metà febbraio, prima quindi dell’invasione russa in Ucraina, sul nodo probabilmente più difficile da superare: quello della flessibilità in uscita.
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che sostanzialmente né nella presentazione del Def, né dall’incontro Governo-sindacati l’argomento di una nuova riforma pensioni è stato affrontato e considerando come si è mosso in questo anno e mezzo l’attuale esecutivo ciò era abbastanza prevedibile. Nel Def vi è solo un velato accenno alle pensioni di invalidità e nel corso dell’incontro con le organizzazioni sindacali vi è stato, semplicemente, un generico impegno a continuare a confrontarsi al fine di monitorare le conseguenze economico-sociali della guerra scoppiata in Europa da oltre quaranta giorni.
In pratica, per l’ennesima volta, si è deciso di rimandare l’annoso problema in attesa di vedere quali saranno nei prossimi mesi gli sviluppi bellici e quelli relativi all’economia. Sicuramente la situazione rispetto alla fine dell’anno è profondamente cambiata. Dopo che il 2021 si era concluso con un aumento del Pil del 6,4%, dopo il terribile -8,9% del 2020, si sperava moltissimo in questo 2022 con una robusta ripresa economica che nelle previsioni doveva essere del 4,7%. In realtà in poco più di tre mesi, anche a causa dell’enorme aumento dei costi energetici, la previsione dell’aumento del Pil rispetto all’anno 2021 è indicata intorno al 3%. Questo se il conflitto dovesse concludersi entro poche settimane, ma se, come molti osservatori geopolitici prevedono, il conflitto durerà per tutto il 2022, alla fine dell’anno saremo in recessione. Considerando, inoltre, che all’attualità siamo già al 7% di inflazione rischiamo di arrivare a fine anno in doppia cifra, cosa che sarebbe devastante per le imprese e per i cittadini italiani. Logica conseguenza di ciò sarebbe un’impennata dello spread per porterebbe maggiori costi per l’erario in termini di pagamento di interessi a causa dell’enorme debito pubblico italiano.
In pratica il Governo si muove in base alla situazione economica che ne verrà. Se il conflitto durerà ancora diversi mesi stringerà i cordoni della borsa, se invece terminerà entro poche settimane allora metterà più risorse sul piatto e forse ci sarà posto per una riforma delle pensioni.
Ebbene io ritengo che questo modo di operare sia sbagliato. Un Governo lungimirante deve affrontare i problemi che assillano i propri cittadini e non avere come unica soluzione il procrastinare come sta facendo da quasi due anni la riforma delle pensioni, con la tentazione di aspettare le elezioni del prossimo anno e dare al prossimo Governo un’incombenza che porterebbe a un ulteriore rinvio di altri 18 mesi. Per avere una buona riforma previdenziale bastano poche settimane e i costi non sono così elevati come si vuol fare credere. I risparmi di Quota 100 e i minori costi dell’Inps a causa degli oltre 160.000 decessi da Covid creano un tesoretto di oltre 20 miliardi di euro, cifra che è sufficiente a garantire almeno fino alla fine del decennio una legge previdenziale più equa e che possa superare la rigidità della riforma pensioni della Fornero. Dopodiché, ci sarà a disposizione un periodo di tempo più lungo di sei/sette anni, dove politici competenti e senza l’assillo di campagne elettorali imminenti potranno studiare seriamente un altro tipo di di riforma delle pensioni completamente diverso dall’attuale che possa in futuro dare ai lavoratori equità, tranquillità e pensioni decorose dopo una vita di lavoro.
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