Quota 41 universale comporterà posizioni contributive che necessiteranno di dover lavorare (in salute) fino anche a 74 anni, ma come affronterà la problematica il governo Meloni? Col decreto Milleproroghe si “concede” agli statali con 36 anni di contributi di andare in pensione a 70 anni. Ecco come funziona la normativa.



Riforma pensioni 2023: la legge strutturale che non farà felice nessuno

Il governo Meloni che recentemente ha avuto un incontro alla sede della CGIL nazionale, deve fronteggiare il periodo più afoso di sempre sul fronte riforma pensioni 2023. Infatti in quest’epoca storica caratterizzata dai rincari, inflazione e insofferenza si deve anche mettere mano alla riforma pensioni 2023. Del resto il governo ha promesso di mettere in cantina la legge Fornero eppure da quella legge non riesce ancora a distaccarsi.



Il suo discorso alla CGIL, aveva lo scopo di instaurare e fissare un dialogo coi sindacati, necessità fortissima dati i problemi già esistenti e, nonostante il governo non sia riuscito nemmeno a proporre la possibilità di prorogare quota 41 universale, cioè senza limiti d’età anagrafica, mossa non risolutiva per molte categorie come i giovani che comunque, avendo una discontinuità contributiva non potrebbero andare in pensione prima dei 70 anni. E dunque, se il governo un giorno, magari nel DEF 2024 (documento di economia e finanza, n.d.r.), dovesse presentare una legge strutturale, come intenderà sopperire a queste problematiche che si proporranno per molte categorie?



Riforma pensioni 2023: le novità del Milleproroghe

Una risposta forse potrebbe essere rintracciata dagli emendamenti inseriti nel decreto milleproroghe recentemente approvato. E infatti, per i lavoratori che non possano raggiungere i 36 anni di contributi all’età di 67 anni, il governo propone candidamente di fissare (su base volontaria, s’intende) la exit lavorativa a 70 anni. Una “concessione” che potrebbe risolvere il triste problema della ovvia riduzione dell’assegno pensionistico. La richiesta di proroga della exit dovrà essere approvata dall’amministrazione pubblica presso cui il dipendente statale presta servizio. Ovviamente a rimetterci, in un modo o nell’altro, sarà il dipendente e non la pubblica amministrazione.

Ecco il testo integrale dell’emendamento a firma Matera, Melchiorre, Liris, Lisei: “Dopo il comma 9, aggiungere il seguente: Per i dipendenti pubblici che hanno raggiunto il sessantasettesimo anno di età e non hanno raggiunto i 36 anni di contributi pensionistici possono, su base volontaria, richiedere che la permanenza in servizio prosegua fino al raggiungimento del settantesimo anno di età. Spetta all’amministrazione pubblica presso la quale il dipendente presta servizio accogliere la richiesta. Dall’attuazione della disposizione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.