VERSO IL DECRETO LAVORO
Si avvicina la data del 1° maggio, allorquando dovrebbe tenersi il Consiglio dei ministri per varare il Decreto lavoro. Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, Lega e Forza Italia starebbero spingendo per fare in modo che nel provvedimento vi siano misure relative alle pensioni, in particolare per aumentare le minime, dopo l’intervento della Legge di bilancio che le ha portate a 600 euro al mese. Tuttavia, ci sarebbe anche la richiesta, certamente meno onerosa, relativa a Opzione donna, misura che, sempre tramite la manovra di fine 2022, è diventata molto più difficile da utilizzare. L’idea sarebbe, quindi, quella di allentare in parte i vincoli introdotti anche per cercare di tenere fede alle promesse fatte nei mesi scorsi a fronte delle lamentele di molte italiane, rappresentate anche dai sindacati durante i confronti che ci sono stati sulla riforma delle pensioni. Il quotidiano di Confindustria ricorda anche che al momento non è stato ancora varato il decreto attuativo relativo all’incremento delle buste paga dei lavoratori che, pur avendone i requisiti, rinunciano all’accesso alla quiescenza.
IL MONITO DI CAZZOLA SULLA RIFORMA PENSIONI 2023-2024
Secondo il giuslavorista ed ex Ministro Giuliano Cazzola, la riforma pensioni in cantiere per i prossimi anni dovrà mantenere gran parte delle regole presenti nella Legge Fornero attuale: «Era divenuta opinione comune che la riforma Fornero dovesse essere ‘’superata’’, con dosi di flessibilità per consentire nei fatti ulteriori anticipi dell’età pensionabile in un Paese in cui le pensioni anticipate superano, nello stock, di ben due milioni i trattamenti di vecchiaia, per un onere finanziario pari al doppio; mentre nei flussi ogni pensione di vecchiaia ne conta almeno tre di anzianità», scrive l’esperto di pensioni nel suo ultimo intervento sull’Huffington Post.
Contestando alcuni cambiamenti attuati dall’attuale esecutivo, Cazzolina rileva ancora: «Si dice, adesso, che con la rinuncia del governo Meloni ad effettuare una riforma strutturale che la ‘’superi’’, il 1° gennaio prossimo, si applicheranno (ahi loro!) le regole ‘’della Fornero’’. Nessuno spiega che, nel corso del decennio dalla sua entrata in vigore, sono state introdotte diverse misure di deroga e di tutela di condizioni personali, familiari e occupazionali di disagio e difficoltà, mediante forme di anticipo rispetto alla maturazione dei requisiti del pensionamento ordinario». Parla infatti dell’Ape sociale, i benefici per i lavori, non solo usuranti, «ma anche gravosi (per ben duecento fattispecie) per i lavoratori c.d. precoci, per coloro che devono prestare assistenza ai familiari o hanno perduto il lavoro; infine, con opzione donna, prima che venisse manomessa dal governo Meloni». (agg. di Niccolò Magnani)
LA COMUNICAZIONE INPS SUL MONTANTE CONTRIBUTIVO
Come ricorda Italia Oggi, l’Inps ha fissato i coefficienti di rivalutazione del montante contributivo per le pensioni decorrenti dall’anno 2023. Il risultato è che “quanti si metteranno a riposo quest’anno e nei prossimi anni” “avranno diritto a una ridotta rivalutazione del montante contributivo relativo all’anno 2021, al fine di recuperare la mancata crescita del Pil nei cinque anni precedenti. Essendo il montante la base di calcolo della pensione, quest’ultima di conseguenza risulterà d’importo ridotto (una sorta di ‘tassa’ che colpisce i futuri pensionandi, quando l’economia gira male)”. L’Istat aveva fatto sapere nel 2021 che il tasso di rivalutazione dei montanti al 31 dicembre 2020 per i pensionati del 2022 era stato negativo e perciò non era stato applicato in attesa di poterlo recuperare successivamente, cosa che avviene pertanto ora. “È andata bene, invece, a chi si è pensionato l’anno scorso; infatti, ha fruito dello stesso azzeramento della svalutazione (cioè rivalutazione negativa), ma non dovrà mai più restituire il beneficio”.
LA RICHIESTA DELLA FLP-CGIL
La Flp-Cgil di Grosseto, come riporta maremmanews.it, si prepara alla manifestazione del 6 maggio a Bologna con una mobilitazione, in programma il 26 aprile davanti agli ospedali di Grosseto e Massa Marittima, che “dovrà dare un segnale inequivocabile al Governo. Perché cambi radicalmente le politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali con l’obiettivo di tutelare i redditi rispetto all’inflazione e di aumentare il valore reale di pensioni e salari. I lavoratori dipendenti, infatti, sono stanchi di svolgere il ruolo di bancomat del Governo per le sue inique misure economiche e sociali. Per questo uno dei punti centrali della nostra richiesta è quello di una riforma che riduca il carico fiscale sul lavoro e pensioni, per aumentare la tassazione su extraprofitti dei settori pubblici e privati, così come delle rendite finanziarie. Presupposto necessario per redistribuire la ricchezza nel mondo del lavoro, rafforzare le politiche di welfare, creare meccanismi per un mercato del lavoro più inclusivo, rimettere al centro il sistema dell’istruzione della formazione pubblica, garantire la presa in carico delle persone non autosufficienti”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BRAMBILLA
In questi giorni si sta discutendo del contributo dell’immigrazione alla sostenibilità del sistema pensionistico, viste anche le dichiarazioni in merito del Presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Interpellato dal Giornale, Alberto Brambilla spiega che “è falso dire che senza gli stranieri non riusciamo a pagare le pensioni”. Il Presidente di Itinerari Previdenziali illustra, quindi, i risultati di una ricerca che rappresenta “una risposta doverosa alle tesi della Fondazione Leone Moressa e di altri soggetti come la Caritas. Ci siamo chiesti se è vero che, se non ci fossero gli extracomunitari, l’Inps non garantirebbe le pensioni. Questo non è vero perché dei 23 milioni e 300mila contribuenti reali dell’Inps gli stranieri sono meno di 3 milioni. Ma non solo”.
I DATI SUI REDDITI DEGLI EXTRACOMUNITARI
Infatti, prosegue l’ex sottosegretario al Welfare, “i redditi degli italiani sono abbastanza alti (vanno dai 18 ai 30mila euro), mentre tra gli stranieri il reddito medio è tra i 9mila e i 12mila e 700 euro. Rifacendo i conti, sulla base dei dati Inps, risulta che i contributi degli stranieri non sono 11 miliardi, come sostenuto dalle organizzazioni che ho già citato, ma sono al massimo 4-5 miliardi”. C’è anche da dire, inoltre, che utilizzando il metodo di calcolo contributivo “risulta che i contributi sono un credito per gli stranieri e un debito per l’Inps. E, infine, esiste una convenzione internazionale che ci impone di trasferire questi soldi al Paese d’origine qualora gli stranieri, una volta andati in pensione, decidano di tornare nella loro patria”.
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