LA TOTALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEI CONTRIBUTI

La totalizzazione internazionale dei contributi è uno strumento molto utile per i lavoratori che abbiano lavorato anche all’estero e desiderino andare in quiescenza. Come ricorda l’inserto del Sole 24 Ore dedicato alle pensioni, “l’attivazione della totalizzazione interzaionale è contestuale alla domanda di pensione che, nel regolamento 883/2004, va presentata solo nello Stato di residenza. In realtà, il lavoratore può richiedere, anche prima del pensionamento, attraverso il portale web dell’Inps, l’estratto conto contributivo internazionale enumerando tutti i Paesi dove ha accantonato contribuzione, consentendo la circolazione del modello E205 e l’inserimento nell’estratto conto contributivo dei contributi esteri”. Non è ben chiaro come debbano comportarsi “i lavoratori in regime di smart working che vadano a lavorare in Stati convenzionati: in base a quanto già chiarito da Inps per il telelavoro, si deduce che il datore di lavoro potrà richiedere l’applicazione della contribuzione in Italia con modello A1, nel caso di Stati Ue”.



L’ITALIA UN PO’ PIÙ AVANTI DELLA FRANCIA

In un articolo pubblicato su lavoce.info, Carlo Mazzaferro evidenzia che “in attesa di verificare la capacità dell’esecutivo francese di condurre in porto una riforma importante sia per gli assetti del welfare transalpino sia per la tenuta dei conti pubblici, può essere utile notare alcuni punti di contatto con il nostro sistema previdenziale. Italia e Francia hanno sistemi pensionistici pubblici relativamente costosi, ma capaci di garantire, in media, prestazioni adeguate agli assicurati attualmente in pensione”. L’economia sottolinea poi che “decenni di riforme in Italia non sono ancora riuscite a condurre i lavoratori del nostro Paese all’interno di uno schema uniforme nel quale ogni lavoratore paga la stessa percentuale del suo reddito per il finanziamento di una pensione futura, calcolata sulla base della stessa regola. Nonostante tutto, però, guardando a quello che succede dall’altra parte delle Alpi, l’impressione è che, per una volta, siamo un po’ più avanti rispetto ai cugini francesi”.



IL RISCHIO DELLA PENSIONE PROVVISORIA

Come riporta il Quotidiano Nazionale, l’Aduc sta ricevendo diverse segnalazioni relative al fatto che sempre più spesso gli ex dipendenti pubblici ricevono una pensione “provvisoria”, dal momento che essa viene liquidata il giorno successivo alla cessazione dell’attività lavorativa, ma occorre del tempo prima che l’Inps entri in possesso dei dati sui contributi versati negli ultimi mesi di lavoro. Mediamente ci vorrebbero al massimo sei mesi per arrivare al calcolo della pensione definitiva, “ma in realtà molte pensioni dopo alcuni anni non vengono ancora liquidate in via definitiva”. Ma non è tutto, perché “passati tre anni dalla prima erogazione, il cittadino può decadere dai suoi diritti” e quindi la pensione provvisoria rischia di diventare quella definitiva. Dunque, l’associazione dei consumatori spiega che “per tutti i casi che si stanno avvicinando al limite dei tre anni di decadenza conviene inviare una lettera di sollecito e messa in mora” all’Inps.



LE PAROLE DI EBNER

Come riporta buongiornosudetirol.it, il Segretario del sindacato dei pensionati della Cgil/Agb, Alfred Ebner, evidenzia che i pensionati “raramente hanno la possibilità di arrotondare il reddito e le condizioni di vita sono dettate quasi esclusivamente dall’ammontare della pensione”. Di fronte al crescente rischio di povertà, determinato specie dai rincari che si stanno susseguendo per bollette e carrello della spesa, “per queste persone l’unica risposta possibile in tempi ravvicinati è costituita dagli aiuti sociali”. Ebner sottolinea che “con l’inflazione a due cifre vanno ricontrattati i limiti di accesso reddituali ai contributi pubblici e riadeguati in tempi più ravvicinati a seconda della dinamica dei prezzi”, ma servono anche interventi strutturali su fisco e pensioni: “Vanno congelate le tasse sugli aumenti di salari e pensioni che recuperano il potere d’acquisto. Le attuali  maggiori entrate vanno messe a disposizione per gli aiuti sociali”.

RIFORMA PENSIONI, CAMBIANO I REQUISITI DAL 2027

Come ricorda Avvenire, con il Censimento permanente della popolazione condotto da Istat si è preso atto di un calo dell’aspettativa di vita, dovuta anche agli effetti del Covid. L’Inps, ha quindi aggiornato i requisiti pensionistici evidenziando che “si accede alla pensione di vecchiaia dall’anno 2027 con 67 anni e 1 mese di età (il messaggio indica erroneamente “di contributi”) mentre prima erano 67 anni e 2 mesi. Per la pensione anticipata saranno richiesti invece 42 anni e 11 mesi di contributi invece di 43 anni interi. Le nuove proiezioni dell’Inps, che accorciano di un mese la futura età pensionabile per i lavoratori privati e pubblici (compresi i docenti di religione e i cappellani), non modificano l’applicazione della ‘speranza di vita’ sulle pensioni del Fondo Clero”.

LA SITUAZIONE DEL FONDO CLERO

Il quotidiano della Cei spiega infatti che “la modesta riduzione di un mese nel regime Inps non muta l’eccesso di applicazione della speranza di vita nel Fondo dei ministri di culto. Nel Fondo è in vigore l’età pensionabile ordinaria di 68 anni sin dall’anno 2000 e tale è oggi e in futuro. Ma con un eccesso di interpretazione del decreto 78/2010, l’Istituto di previdenza richiede invece ai sacerdoti almeno 69 anni di età per raggiungere l’assegno di vecchiaia. Applica cioè al Fondo Clero un allungamento della speranza di vita in assenza di esplicite indicazioni del legislatore”. Questo criterio peggiorativo “si aggiunge all’analoga posizione dell’ente che nega ai ministri di culto i trattamenti previsti per la generalità degli assicurati, come le varie Quote 100-103, oltre al cumulo dei contributi, ai riscatti ecc.”.

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