Come sappiamo il governo Meloni aveva promesso di varare una legge strutturale sulle pensioni almeno entro la metà di maggio 2023. Probabilmente, in origine, l’obiettivo era quello di inserire la legge strutturale sulle pensioni all’interno del documento di Economia e Finanza (DEF) che dovrebbe essere presentato a metà aprile come ogni anno. Ma dato l’argomento spinoso delle coperture, la legge è molto probabilmente slitterà nella Nadef di settembre, ma soltanto ad essere largamente ottimisti. In che modo bisogna intendere l’intervento di Giorgia Meloni alla sede CGIL nazionale? In un momento in cui la riforma pensioni 2023 è letteralmente in stallo, che valenza può avere il suo discorso?
Riforma pensioni 2023: il nodo coperture e le scelte del governo
Va detto che il nodo coperture ha comportato anche l’eliminazione dei bonus edilizi attraverso il decreto del 16 febbraio 2023, mandando definitivamente in pensione il superbonus 110% (che era stato invece trasformato in un superbonus 90% dall’ultima legge di bilancio di dicembre 2022), altrimenti, non ne ha fatto mistero Giorgia Meloni, sarebbero saltati i conti dello Stato. Una sorta di default tecnico posticipato attraverso interventi normativi pericolosi, ma anche l’argomento della riforma previdenziale ha creato molti malumori: se infatti i sindacati premono ancora per poter ottenere una pensione anticipata a 64 o 62 anni di età, il governo non è disposto a trovare le coperture per poter sostenere questo genere di spesa.
In un certo qual modo la proroga di quota 103 diventa obbligatoria, se non altro per non mettere altra carne sul fuoco in un momento già di per sé molto complicato.
E infatti Giorgia Meloni se ne è guardata bene dal proporre quota 41 universale (cioè senza limiti anagrafici) come quanto è stato previsto in quota 103.
Questo perché, già a pochi giorni dalla proposta da parte del ministro Calderone, in molti si sono resi conto che quota 41 universale svantaggiava prevalentemente i giovani e tutti coloro che hanno dovuto subire gli ultimi vent’anni di mala gestione del mondo del lavoro.
È difficile dunque dire In che direzione andrà davvero il governo, ma quello che è chiaro è che quota 41 potrebbe costare anche 75 miliardi in 10 anni.
Riforma pensioni 2023: che valenza ha l’intervento di Giorgia Meloni alla CGIL?
Che valenza ha l’incontro di Giorgia Meloni alla sede CGIL in un momento di riforma in stallo? Sicuramente la volontà di creare un dialogo per la nuova legge che fatica a nascere. Le criticità di quota 41 sono visibili sia a livello amministrativo che di welfare previdenziale, eppure i sindacati pare abbiano gradito la proposta di riforma che il governo sarebbe (forse) pronto a ritirare a causa degli enormi costi. La Meloni ha quindi sentito il bisogno di dissodare il terreno in vista di una nuova semina che potrebbe, almeno temporaneamente, riproporre quota 103 (come ormai sembra ovvio), per poi avanzare una proposta ancora più restrittiva (in termini sia amministrativi che di welfare) per il 2024. E in quel caso i sindacati è meglio tenerli buoni.
Del resto a qualcuno quota 41 è piaciuta, anche se è di gran lunga lontana rispetto alle proposte avanzate ai tavoli di confronto durante il ministero guidato da Andrea Orlando. Quota 41 piace, nonostante un giovane che abbia cominciato a lavorare a 25 anni, potrebbe raggiungere la pensione a 70 anni o, nei casi più gravi a 74 anni, il costo di quota 41 rischia di diventare seriamente insostenibile.
Anche se un paese come l’Italia avrebbe dovuto evitare di risparmiare sulle pensioni, non si riesce a fare a meno di parlare dei costi. Ma i costi che cita Giorgia Meloni sono relativi al reddito di cittadinanza che in tre anni è costato soltanto 19,6 miliardi e, con gli opportuni accorgimenti e correttivi, avrebbe potuto quantomeno frenare l’insofferenza socio-economica del paese. Tuttavia il premier italiano precisa che il reddito di cittadinanza non è la soluzione:
“Non credo che chi è in grado di lavorare debba essere mantenuto dallo Stato con i proventi delle tasse di chi lavora duramente percependo spesso poco più di chi prende il reddito di cittadinanza. Noi intendiamo continuare a tutelare chi non è in grado di lavorare – pensionati in difficoltà, famiglie prive di reddito con minori a carico, over 60 che hanno perso il lavoro, invalidi -, ma per chi può lavorare la soluzione è proporre posti di lavoro dignitosi – ed è quello a cui stiamo lavorando per fare – o inserire queste persone in percorsi di formazione, anche con un minimo di retribuzione durante la formazione, in settori nei quali è richiesta la manodopera”.
E per quanto concerne le pensioni, Giorgia Meloni rivendica l’aumento delle pensioni minime portate infatti a 600 euro, grazie all’intervento di forza Italia che si aspetta di portarle a mille euro entro i prossimi anni:
“E’ una riforma che si concentra soprattutto sui più fragili, sul ceto medio, come abbiamo già fatto con la Legge di Bilancio con la quale il Governo, pur con le limitate risorse che aveva a disposizione soprattutto a causa del caro energia, ha voluto dare un segnale particolarmente ai redditi più bassi con interventi a tutela del potere di acquisto di famiglia e lavoratori, con l’innalzamento delle pensioni più basse, con il rinnovo del taglio di due punti percentuali del cuneo fiscale – che il precedente governo aveva previsto terminasse lo scorso 31 dicembre – e con l’aggiunta di un ulteriore taglio del cuneo fiscale particolarmente sui salari più bassi.”