Il governo Meloni aveva già preventivamente annunciato di voler realizzare una riforma strutturale sulle pensioni a partire dal primo anno di governo. Ma la resa dei conti è stata immediata: una gran quantità di persone entro il 2035 avrà problemi di discontinuità contributiva, oltre al fatto che proprio nel 2035 il numero dei lavoratori sarà inferiore a quello dei pensionati. E allora c’è da fare i conti con la realtà: dove sono le risorse? Quale cuscinetto sociale si può applicare per evitare problemi socio economici?



Riforma pensioni 2023: da quota 103 quota 84

Da quando il governo Meloni ha annunciato di volere a tutti i costi lavorare sulla riforma pensioni 2023 le proposte avanzate sono state diverse ma l’obiettivo di Giorgia Meloni è sempre stato quello di approvare la quota 41 universale, quella che applicava il paletto del montante contributivo in sostituzione del requisito dell’età anagrafica. Il problema è che quota 41 sarebbe comunque costata molto più di quello che era stato previsto. E così il governo ha optato per una quota 103 bis come misura ponte per traghettare il sistema previdenziale al 2024, anno eletto per una riforma strutturale sulle pensioni.



Il problema è che anche quota 103 bis può certamente essere proposta quest’anno e, tutt’al più, anche l’anno prossimo, ma Non può essere intesa come una sostituzione della legge strutturale sulle pensioni. Quella che i sindacati e le categorie hanno sempre richiesto infatti prevede un’anticipazione dell’età pensionabile a 62 o 64 anni di età e una riduzione anche del montante contributivo che però non potrà certamente essere realizzato. Sulla base di questo infatti Pasquale Tridico aveva ideato la pensione a due velocità, che prevedeva un assegno mensile ridotto fino al compimento dei 67 anni previsti dalla riforma Fornero, poi un assegno pieno dopo i 67 anni di età. In questo modo il lavoratore anticipava il differenziale contributivo che sarebbe stato necessario per percepire l’assegno mensile completo a partire dal 67esimo anno di età.



Riforma pensioni 2023: la legge strutturale potrebbe slittare al 2025

Con la nota di aggiornamento al def di settembre invece è spuntata l’ipotesi della quota 84 che anticipa l’età pensionabile per le donne e riduce anche il montante contributivo. Si tratta di una misura d’emergenza per tutti coloro che hanno una discontinuità contributiva in grado di detonare entro i prossimi anni, qualora il governo non riuscisse a lavorare ad un cuscinetto sociale. Ma questa misura Non può essere applicata a chiunque, avrà certamente un target di riferimento. Allo stesso modo il rimaneggiamento di opzione donna e ape sociale, con una retromarcia verso i vecchi requisiti di 58 anni di età e 36 anni di contributi, testimoniano la volontà del governo di stringere la cinghia per il 2023 e 2024 e rimandare la riforma a data da destinarsi. Una legge strutturale sulle pensioni, vista la denatalità e la discontinuità contributiva di una gran quantità di lavoratori e, attualmente non può essere nemmeno concepita se non con strategie lacrime e sangue.

È molto probabile infatti che se non si dovesse trovare la quadra entro dicembre 2023, la riforma pensioni potrebbe addirittura slittare al 2025.