Anche se il governo Meloni sa di avere la mission impossible di lavorare ad una riforma strutturale del sistema previdenziale così da superare la legge Fornero, i conti pubblici rendono sempre più difficoltosa l’impresa. Si tratta di scegliere infatti tra varie proposte molto costose e poco appetibili per i lavoratori e per la naturale idea di exit che vorrebbero i sindacati. Accantonate le proposte di pensione a 62 o 64 anni di età, il governo Meloni vorrebbe far quadrare i conti con una quota 41 universale, benché questa sia naturalmente costosissima per il sistema previdenziale italiano. Ma qualsiasi legge dovesse essere discussa entro il 2024, è chiaro che questa non farebbe contento nessuno.
Riforma pensioni 2023: la legge impossibile
Se ormai sembra sempre più evidente che qualsiasi proposta di legge strutturale sulle pensioni per la riforma pensioni 2023 dovesse essere adottata, questa potrebbe non costituire un elemento di risoluzione per la tanto odiata legge Fornero che consente di uscire dal mondo del lavoro all’età di 67 anni. Troppi per molti, ma pochi per i lavoratori del futuro che invece potrebbero dover uscire dal mondo del lavoro persino all’età di 74 anni, così come è stato calcolato dall’INPS.
E mentre i conti pubblici risultano essere sempre più in crisi, mentre le proiezioni del sistema previdenziale del 2035 danno l’idea di una crisi alle porte, fatta di troppi pensionati in rapporto a pochissimi lavoratori.
Ecco perché molti vedono la necessaria riproposizione di una misura ponte come quota 103 bis, oppure una exit pensionistica posticipata togliendo definitivamente il paletto dell’età anagrafica. Perché se è vero che con una quota 41 si potrà andare in pensione anche all’età di 60 anni, e anche possibile che in assenza di una continuità contributiva la exit pensionistica possa essere rimandata a data da destinarsi, ipoteticamente anche molto più avanti rispetto alle proiezioni precedenti.
E quindi serve un ascensore previdenziale come ape sociale, qualcosa che il governo proprio non sta considerando. Venendo quindi a mancare il naturali presupposti di supporto alla exit dal mondo del lavoro per i lavoratori di oggi e di domani, c’è chi ipotizza addirittura l’eliminazione categorica della exit pensionistica anticipata a partire dal 2027.
Un’ipotesi preoccupante, ma quanto più vicina alla situazione reale.
Riforma pensioni 2023: scompariranno le pensioni anticipate?
È possibile che dal primo gennaio 2027 non basterà più arrivare a 67 anni di età e 20 di contributi per andare in pensione anticipatamente, come accade oggi per coloro che sono nati nel 1956 e, probabilmente, non basteranno nemmeno 42 anni e 10 mesi di contributi per le pensioni anticipate ordinarie. Non possiamo stabilire fin da adesso quale sarà la misura che entrerà in vigore, perché questa sarà inevitabilmente legata alla riforma del sistema previdenziale quindi infatti potrebbe terminare il congelamento dei requisiti per accedere a queste due prestazioni in quanto il legislatore ha deciso di fissare fino al 31 dicembre 2026 i requisiti per le pensioni in vigore oggi.
Con ogni probabilità il 42 anni e 10 mesi per la pensione dovrà essere aumentato di due mesi così da raggiungere i 43 anni esatti e 42 anni per le donne.
Bisognerà Inoltre verificare se resterà inalterato il meccanismo della finestra dei tre mesi.
Quindi anche se il governo Meloni non ha le idee ancora del tutto chiare su quella che potrebbe essere la riforma pensioni del prossimo futuro, sembra abbastanza chiaro che le pensioni anticipate potrebbero scomparire, così come la possibilità di adottare altre strategie per andare in pensione anticipatamente. È come se il governo non stesse minimamente ponendo la funzione alla possibilità di introdurre a livello strutturale degli ascensori previdenziali. Questo potrebbe creare un enorme malcontento nel corpo dei lavoratori, delle categorie e delle classi sindacali.