La riforma pensioni 2023 è ad un punto morto: forse la mancanza di risorse, anche durante il quarto trimestre di quest’anno, dove cioè ci si aspettava una crescita flebile, ma superiore ai periodi precedenti, costituisce un elemento che peggiora le aspettative di chi sperava almeno in una bozza di riforma, rivolta a mantenere una exit anticipata in vista della legge strutturale che sarebbe inevitabilmente sopraggiunta nel 2024.
Riforma pensioni 2023: poche carte sul tavolo
La Riforma pensioni dunque, per esistere e resistere ad un periodo di ristrettezze, deve inevitabilmente puntare sui pochi, forse pochissimi, obiettivi raggiungibili: uno di questi non è nemmeno a carico dello stato, o forse non del tutto. Al netto delle detrazione sotto forma di credito d’imposta, la previdenza sociale resta a carico del lavoratore, ma potrebbe costituire per il futuro un elemento fondamentale per la crescita del sistema previdenziale. E fuori da questo, la riforma e strutturalizzazione dell’Ape Sociale e Opzione Donna, opportunamente riviste e unite a una riforma ponte come quota 103 bis, potrebbero costituire un elemento di supporto a una legge previdenziale comunque insufficiente.
I due eventi programmati dalla segreteria del Ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone e calendarizzati a distanza ravvicinata il 5 ed il 18 settembre, alle porte della Nadef, tradiscono una certa fretta da parte dell’attuale esecutivo a confezionare comunque una soluzione utile a non restare a mani vuote: l’esigenza di nutrire una certa opinione pubblica.
Riforma pensioni 2023: l’unica proposta possibile
Ma è chiaro che nessuna riforma ideata in questo momento storico potrebbe accontentare tutti. L’unica che si è rivelata profetica è stata quella pensata da Pasquale Tridico che ha consentito da una parte ai lavoratori di accedere al mondo pensionistico prima con un assegno ridotto e poi di consentire loro di percepire l’assegno pieno una volta raggiunti i 67 anni.
Per questo motivo c’è da chiedersi come mai la pensione a due velocità pensata proprio dal Presidente dell’Inps non sia piaciuta all’esecutivo, che ancora insiste con una commissione ad hoc a misurare l’impatto socio economico di una riforma con quota 41 universale che potrebbe certamente essere più costosa della proposta Tridico? Sussistono dei motivi ideologico-politici? E come si può pensare di riformare il sistema previdenziale con una quota 41 che non tenga conto della discontinuità contributiva di moltissime categorie di lavoratori?