LA DENUNCIA DI CGIL, CISL E UIL DIFESA
Come riporta cittadellaspezia.com, le segreterie sindacali Cgil, Cisl e Uil Difesa intendono denunciare una “incredibile e vergognosa situazione, che si sta protraendo nel silenzio assoluto”. Infatti, spiegano i sindacati, “in un anno in cui l’inflazione tocca livelli record, i gravi ritardi del Mef causati da un’organizzazione del lavoro interna ormai precaria, dovuta principalmente ad una carenza di personale nella lavorazione delle pratiche burocratiche stanno costringendo centinaia di pensionati del Comparto Difesa a lunghe attese prima di ricevere la propria pensione. Il Mef ha infatti accumulato un enorme ritardo nella trasmissione all’Inps delle pratiche delle Dma (Denunce Mensili Analitiche), ferme al 31/12/2022, necessarie per il riconoscimento della pensione. Il risultato è che a oggi centinaia di pensionati in tutta Italia non sanno ancora quando potranno avere la loro pensione”. Una situazione che va affrontata e risolta.
LE RIVALUTAZIONI DELLE PENSIONI DAL 2024
In attesa che novità importanti possano arrivano nella riforma pensioni della prossima Manovra di Bilancio – la ripresa dei tavoli di lavoro al Ministero prevista per fine agosto – alcuni importanti aumenti scatteranno nei prossimi mesi e in generale da inizio 2024: si tratta delle rivalutazioni per le pensioni di vecchiaia e quelle di invalidità, cambiamento programmato per via del meccanismo di perequazione (rivalutazione assegni in base al tasso di inflazione).
Non solo il costo della vita inciderà per la perequazione del 2024 ma anche l’aumento dell’inflazione del 2023: se il tasso del 2022 era al 7,3%, poi passato all’8,1% attuale, si attenderà il tasso finale del 2023 per avviare i pagamenti e gli aumenti ad inizio 2024. Come ormai noto da tempo, la pensione minima si alzerà a 572,20 euro mentre l’assegno arriverà a quasi 600 euro per gli over 75: possibili novità, rileva il focus de “Il Giornale”, potranno arrivare con il taglio delle tasse su tredicesima e quattordicesima previsti tanto per i lavoratori quanto per i pensionati, ma occorrerà attendere in Manovra quali saranno le soglie e i destinatari specifici di questi prossimi aumenti. (agg. di Niccolò Magnani)
LE PAROLE DI LANDINI
Maurizio Landini, in un’intervista alla Stampa, spiega di vedere “salari e pensioni in calo, profitti in crescita, prezzi e tariffe senza controllo, tagli alla sanità e all’istruzione, nulla sulle pensioni, precarietà e povertà che crescono, sino al taglio degli investimenti del Pnrr”. Secondo il Segretario generale della Cgil, “bisogna aumentare i salari per tutti. Il che implica stanziare le risorse adeguate e intervenire sulla indicizzazione automatica reale delle detrazioni da lavoro e pensione, cioè la restituzione del fiscal drag. Non solo. Bisogna rendere strutturale il taglio del cuneo contributivo e concentrare tutti gli incentivi a sostegno della contrattazione collettiva nazionale”. Per il sindacalista, esiste “una contraddizione tra la legge delega sul fisco che penalizza ulteriormente il lavoro dipendente e i pensionati su cui grava mediamente il 40 per cento di imposizione, mentre sulle rendite finanziarie è il 20 per cento e sul lavoro autonomo il 15, a parità di reddito. È una ingiustizia. Una soluzione è ripristinare il principio della progressività”.
LE PAROLE DI ZAIA
Intervistato dal Sole 24 Ore, Luca Zaia evidenzia che il problema delle liste d’attesa per le prestazioni mediche in Veneto dipende dal fatto che “mancano i medici. Va abolito, lo dico da tempo, il numero chiuso. Ma lancio anche un appello dalle colonne del Sole24Ore: non è possibile mandare in pensione i medici ospedalieri a 70 anni. Devono poter continuare il loro impegno di lavoro nella sanità pubblica, se lo vogliono. Abbiamo investito su di loro, hanno un bagaglio di esperienza straordinaria e noi li costringiamo ad andare in pensione? Così poi vanno a lavorare nelle cliniche private, magari al di là della strada? Lo chiedo ufficialmente al governo: il medico che vuole continuare a lavorare nel pubblico deve poterlo fare. A volte perdiamo vere “star” della medicina per questa norma assurda”. Il Governatore del Veneto spiega di averne parlato con il ministro della Salute Schillaci, “anche di recente. E ne ho parlato in sede istituzionale con gli altri governatori”. “Se io avessi 3.500 ambulatori aperti potrei azzerare le liste di attesa in pochi giorni”, ha aggiunto.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI DURIGON
Intervistato dal Tempo, Claudio Durigon conferma la volontà del Governo di arrivare a Quota 41 entro fine legislatura. “Il percorso per raggiungere l’archiviazione definitiva della legge del Governo Monti è ancora lungo. Ma il primo punto fermo minimo e la conferma, anche se sono in valutazione altre forme di uscita, che la quota 103 sarà estesa anche nel 2024. Non solo. L’altro tema è quello di un ampliamento della platea di soggetti che accede all’Ape social. Stiamo pensando a diverse alternative e l’Inps sta lavorando per calcolare il costo delle varie ipotesi”, evidenzia il sottosegretario al Lavoro, secondo cui, per quel che riguarda Quota 103, “ci sono margini sufficienti per lasciare tutto così com’è per un altro anno”, considerando che il suo rinnovo “a spanne costa circa 300 milioni nel 2024, 1,2 nel 2025, e circa 500 nel nel 2026”.
L’INTRODUZIONE DI QUOTA 41
Riguardo invece Quota 41, secondo Durigon occorre “partire da un concetto. Quello per il quale il metodo contributivo man man che passa il tempo ha una peso prevalente nella determinazione dell’assegno. Così se si uscisse con 41 anni calcolati integralmente con la riforma Dini il pensionamento costerebbe solo un miliardo il primo anno e due il secondo anno. È una considerazione da tenere a mente in qualunque soluzione complessiva. Che deve contemporaneamente tenere presente la necessità di binario preferenziale per aiutare le donne. E del contratto espansivo che consente di far uscire prima i lavoratori anziani per far posto ai giovani. Su quest’ultimo la Lega si sta impegnando per migliorare le condizioni e per incentivarne l’uso nelle aziende”.
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