Il governo Meloni aveva annunciato una riforma strutturale entro il 2023, salvo poi ripensarci e rimandare tutto al 2024: ma cosa ha spinto il governo a ritrattare più volte fino poi a concepire una quota 84? Ecco perché qualcosa sta cambiando.

Riforma pensioni 2023: qualcosa sta cambiando nell’analisi della legge strutturale

Attualmente una riforma pensioni non c’è ancora e mentre Giorgia Meloni propone modifiche a Opzione donna dove pare che sia probabilmente disposta a ritrattare le vecchie condizioni adoperata sotto il Ministero di Andrea Orlando, quindi a quello che era previsto nel 2021, quota 41 universale non passa la prova.



In compenso c’è chi concepisce quota 84 che vede un pensionamento anticipato, si fa per dire, a 64 anni di età e 20 di contributi. In questo modo si salverebbero quelle donne lavoratrici che hanno avuto la priorità di dedicarsi alla famiglia: per loro i 41 anni contributivi sarebbero stati irraggiungibili. Al contempo si trasformerebbe la riforma in un vero e proprio ammortizzatore sociale. Infatti sono tantissimi gli over 50 che non hanno potuto accumulare contributi in modo continuativo e ciò è tanto più vero perle donne e le caregiver.



Per poter accedere alla pensione non sarebbe più necessario aver maturato una pensione almeno 2,8 volte l’assegno sociale (cioè circa 1.400€ lordi al mese). La soglia infatti verrebbe abbassato al 2-2,5. In questo modo si agevolerebbe l’ascensore sociale per il corpo femminile delle lavoratrici, qualora queste definiscano il ricalcolo della pensione sulla base del metodo contributivo.

Invece, almeno per quanto riguarda Opzione Donna, il governo vorrebbe unirla ad Ape sociale così da adoperare un’unica misura per una vasta classe di lavoratori. In questo caso però il requisito contributivo è fissato a 38 e quello anagrafico a 60. Ma i sindacati chiedono a gran voce di inserire nuovamente i parametri del 2021, cioè l’anticipazione della pensione anche a 58 anni e 35 anni di contributi. Le ipotesi sono tutte al vaglio.