In Francia la riforma delle pensioni 2023 sta costando molto caro ai vertici dell’Eliseo che sono obbligati ogni giorno a registrare e aggiornare i termini dell’emergenza socio-politica che costringe la popolazione a non abbandonare la piazza e le strade. L’ex Ministro del Lavoro, Elsa Fornero commenta la reazione francese. Ma quale destino attenderà l’Italia per quanto riguarda la riforma pensioni 2023?



Riforma pensioni 2023: Italia vs Francia, chi vince?

Come sappiamo l’approvazione della riforma pensioni 2023 in Francia sta costando caro al presidente Macron in termini di popolarità e apprezzamento, sia per sé stesso che per il proprio partito. Eppure Macron ha fatto una revisione integrale dei sistemi di contribuzione portandoli da 35 a 1, accrescendo i termini di incertezza popolare riguardo ad una tutela previdenziale. Contestualmente ha allungato di due anni l’età pensionabile, esattamente come fece all’epoca, l’ex ministra Elsa Fornero. E dunque la domanda: cosa sarebbe successo in Italia se la riforma pensioni di “Macron” fosse stata proposta qui? Ovviamente nulla.



Le proteste italiane sono pacifiche, in Francia il popolo ha invece l’intenzione di bloccare e paralizzare il paese e ha dimostrato di riuscirci. Ma la riforma pensioni francese porta la exit a 64 anni, esattamente il punto d’approdo a cui sarebbero dovuti arrivare i sindacati nel febbraio 2022, un obiettivo che oggi hanno abbandonato per esprimere il proprio apprezzamento alla “quota 41 universale” senza limiti d’età anagrafica che oltre a portare la exit lavorativa a 74 anni (per i più giovani), si dimostra come una legge strutturale poco efficace e risolutiva per i lavoratori.



Riforma pensioni 2023: in Italia i sindacati dicono sì alla exit a 70 anni

Una cosa va detta: se in Francia i termini di politicizzazione e critica dell’opinione pubblica sul tema pensioni sono ai massimi livelli, l’Italia va nel senso totalmente opposto e infatti nessuno si sconvolge per la proposta di quota 41 che rischia di creare non soltanto un problema di welfare previdenziale, ma addirittura un danno socio economico. Poniamo il caso un lavoratore chiamato a lavorare a 70 anni perchè potrebbe non aver raggihnto i termini minimi di contribuzione (41 anni), cosa accadrebbe se si sentisse male? Sarebbe costretto a restare a casa a carico dell’Inps, sempre che non venga messo in discussione e riformata anche l’indennità di malattia.

Ma se in Italia sono gli stessi sindacati a ottenere mandato per chiudere un accordo con l’ormai ex Ministro Orlando e portare la exit lavorativa da 67 a 62 o 64 anni di età e poi si accontentano di una riforma strutturale che potrebbe invece spostare di 7 anni dall’attuale termine Fornero la lancetta per la exit, se anche queste categorie di rappresentanza sindacale non si sollevano e dimostrino il coraggio di dire “no”, a quel punto non sarà possibile ammettere una sollevazione di piazza. Il no ad una riforma pensioni che rischia di non favorire il lavoratore ma le casse statali, non avendo mai avuto le pubbliche amministrazioni una visione politica e amministrativa di medio termine. Allo stesso tempo, lottare per una vera legge strutturale, potrebbe evitare i costi economici e politici del medio e lungo periodo. Ma come farla? Dal fronte del Ministero del lavoro si brancola ancora nel buio.

“Mi dispiace per quello che sta accadendo in Francia, non sono una fan di Macron, ma la sua riforma pensioni mi sembra sia abbastanza ragionevole”, queste le parole di Elsa Fornero che in un qualche modo comprende il “collega” francese e forse si rende anche conto che l’Italia è un paese camomilla se confrontato con i cugini d’oltralpe. Dal canto suo Macron si dice dispiaciuto per la riforma pensioni, ma gli obiettivi europei di calo per la spesa previdenziale vanno soddisfatti.