La riforma pensioni 2023 è arrivata a un bivio. Dopo le promesse non mantenute di tutto il 2022, in cui le parti sociali e i sindacati si sono incontrati al Ministero del lavoro, per discutere su una riforma pensioni che accogliesse principalmente la richiesta dei sindacati di una exit lavorativa a 64 oppure a 62 anni, e dal momento che il Ministero del lavoro ha dichiarato di volere una quota 41 per tutti, sono partiti i conteggi attraverso il nuovo simulatore dell’Inps che ha restituito dei dati impietosi in particolare per i giovani e per le donne.
Del resto a dire che i più svantaggiati sarebbero indubbiamente stati i giovani è stato l’economista ed esperto previdenziale Alberto Brambilla nei giorni scorsi.
Riforma pensioni 2023: cosa succede con quota 41 per tutti?
In particolare secondo i calcoli, se il governo dovesse attuare una riforma delle pensioni 2023 strutturale con quota 41 per tutti, così come ha promesso Marina Calderone, la exit lavorativa sarebbe portata a 61 anni soltanto per coloro che hanno avuto una continuità contributiva a partire dai vent’anni.
Stando alle regole attuali invece Chi ha cominciato a lavorare a partire dall’età di 25 anni, quindi dopo i primi anni di studio universitario, potrà ottenere la pensione anticipata a 70 anni e 6 mesi con almeno 20 anni di contributi oppure a 70 anni e 6 mesi Se si hanno almeno 46 anni e 4 mesi di contributi. Se invece gli anni di contributi sono meno di 20 ma più di 5, magari per carriera discontinua e si potrà andare in pensione a 74 anni e 10 mesi. Naturalmente parliamo sempre di assegni miseri. I lavoratori che sono nati nel 1990 e che oggi hanno più di 30 anni potranno andare in pensione a 70 anni se non ha accumulato 20 anni di contributi. E potranno quindi accedere alla pensione anticipata prima di quelle ta soltanto con 45 anni di contributi.
Mentre oggi è quindi si discute se andare in pensione a 64 o 67 anni, oppure si lotta per un exit lavorativa a 60 e 62 anni attraverso la integrazione strutturale di opzione donna e ape sociale, in realtà la situazione per i giovani di oggi è molto più complessa e probabilmente non avrà una soluzione. C’è chi propone la pensione garantita per i giovani. Ma è realmente fattibile? La risposta a questa domanda è molto complessa anche perché attualmente L’Italia non ha neanche una legge strutturale che possa in un qualche modo correggere o sostituire la legge Fornero e, sicuramente, la legge strutturale Non può essere basata unicamente su quota 41 dato che è proprio quella che danneggia ulteriormente i giovani.
Riforma pensioni 2023: esiste una sxit lavorativa per tutti?
Le donne con più di 50 anni che hanno cominciato a lavorare a 25 anni potranno avere la pensione a 65 anni e 4 mesi, sempre stando alle norme attuali. Ovviamente dovranno avere più di vent’anni di contributi continuativi, Ma se l’assegno e 2,8 volte il minimo. Invece se l’assegno tra 1,52,8 volte bisognerà attendere Il 68 anni e 8 mesi e quindi il 2041. Quello stesso anno arriverebbe la pensione anticipata con 43 anni e sei mesi di contributi mentre per la pensione di vecchiaia bisogna aspettare i 73 anni.
Insomma le contraddizioni del sistema contributivo sono proprio queste: non esiste una vera e propria exit lavorativa per tutti e non soltanto per l’assenza di una legge strutturale sulle pensioni, ma proprio per la difficoltà di garantire una continuità contributiva a tutti i lavoratori. È in realtà proprio questa la sfida di questi decenni che rende necessaria una riforma pensioni 2023 incertezza politica e normativa sul piano previdenziale, non potranno vedere risolte le criticità di questa problematica nemmeno con una pensione garantita per i giovani. Si tratterebbe infatti di dare garanzie a coloro che non hanno una continuità contributiva e soprattutto non sono riuscite ad averne a causa delle incertezze lavorative che caratterizzano tutt’oggi il territorio italiano tra regioni del sud e quelle del Nord.