I DATI SULLE BABY PENSIONI
Come riporta Il Sole 24 Ore, Pasquale Tridico ha rilasciato alcune dichiarazioni concernenti le baby pensioni, tema a cui è dedicato l’approfondimento di Giuliano Cazzola pubblicato sulle nostre pagine, ispirato proprio dai contenuti del libro del Presidente dell’Inps “Il Lavoro di oggi la pensione di domani” scritto con Enrico Marro. “Il Presidente dell’Inps indica in circa 42 anni per le donne e 45 anni per gli uomini l’età media alla decorrenza della baby pensione degli attuali beneficiari. E aggiunge che, in media, un baby pensionato sta usufruendo dell’assegno da 36 anni se donna e da 35 anni se uomo. Nel libro si fa anche notare che i baby pensionati deceduti in vita hanno goduto del trattamento, sempre in media, per 28 anni (29 anni le donne, 26 gli uomini) mentre gli anni di contribuzione medi sono stati circa 22 anni per le ex lavoratrici e 25 anni per gli ex lavoratori”, si legge sul sito del quotidiano di Confindustria.
FONDI PENSIONI E LO STUDIO SULL’ATTENZIONE DEGLI ITALIANI
Una riforma pensioni è dibattito centrale da anni ormai all’interno del mondo della previdenza, dei pensionati stessi e dei lavoratori a fine carriera: ma per tutti gli altri? Secondo uno studio recente di Altroconsumo sui fondi pensioni, pubblicato su Adnkronos, solo 1 italiano su 3 ad oggi «si preoccupa della propria pensione dal punto di vista finanziario». I restanti due terzi di intervistati confessano di non star affatto preparando un “piano” alternativo alle pensioni Inps pur sapendo che la propria futura pensione non sarà in grado di soddisfare i bisogni (lo dice il 44% degli intervistati) o quantomeno sarà appena sufficiente (40%).
Allo stesso tempo, gli italiani si dicono consapevoli che le loro pensioni potrebbero non essere così elevate: «soltanto il 20% di chi ha risposto pensa che riceverà un assegno superiore al 75% del suo ultimo stipendio: quasi il 30% pensa addirittura che non avrà una pensione, mentre un altro 20% ritiene che la sua pensione alla fine sarà meno della metà di ciò che percepisce ora in busta paga. Il 60%, inoltre, si aspetta che la pensione sarà la sua unica fonte di reddito una volta smesso di lavorare». Sui motivi per cui ancora gli italiani non investono in una pensione integrativa emerge come il problema economico sia ovviamente quello principale: 1 su 5 dice di non avere abbastanza soldi, mentre un 16% dice di avere altre priorità in fatto di spese, il 13% ammette «non so come investire per la mia pensione». (agg. di Niccolò Magnani)
IL PUNTO DI MAURO MARINO
Secondo Mauro Marino, “c’è la sensazione che, al di là di affermazioni stereotipate e convenzionali, l’Esecutivo non abbia ancora le idee chiare su un tema importantissimo quale è quello previdenziale e che navighi a vista, imbrigliato dalla questione della guerra in Ucraina, dai discorsi sul superbonus e da come gestire la patata bollente del reddito di cittadinanza che dovrebbe scadere tra pochi mesi. Se ha difficoltà a trovare cento milioni per risolvere la questione di Opzione Donna rimpallando responsabilità al Mef come se a capo del Dicastero economico non ci fosse un autorevolissimo esponente della maggioranza, come farà a trovare quel paio di miliardi annui per approvare una riforma previdenziale che sia strutturale e duratura?”. L’esperto previdenziale, in un articolo pubblicato su pensionipertutti.it, spiega che il Governo “deve, come promesso, porre la questione previdenziale nella sua organicità tra i temi fondamentali da affrontare subito e non come da recenti dichiarazioni entro la durata della legislatura”.
LE PAROLE DI PORRO
Con la pensione di marzo arriverà la rivalutazione prevista con l’ultima Legge di bilancio su tutti gli assegni che ancora non l’avevano ricevuto pur avendone diritto. La misura della manovra continua, comunque, a far discutere, soprattutto perché penalizza gli assegni di importo medio-alto frutto in ogni caso di contributi versati nel corso della propria carriera lavorativa. Nicola Porro, durante la sua “Zuppa di Porro” trasmessa via social, ha detto: “A questo punto, voi mi dovete spiegare per quale motivo al mondo uno si debba mettere a pagare tutti i contributi nella sua vita. Chi ha messo più soldi nel conto pensionistico perché deve essere trattato peggio dallo Stato rispetto a chi non l’ha fatto? Insomma, questa cosa mi fa impazzire, ma capisco che la mia sia una battaglia persa. Da destra a sinistra sono tutti d’accordo e ci allontaniamo sempre di più da una concezione liberale e meritocratica del nostro sistema pensionistico””.
RIFORMA PENSIONI, IL FONDO PUBBLICO PER L’INTEGRATIVA
In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, Giorgio Di Giorgio ricorda che “anche se il ruolo della previdenza integrativa e complementare è cresciuto negli ultimi 15 anni, esso appare ancora insufficiente”, dunque “occorre creare un sistema che incentivi ulteriormente la creazione di nuovo risparmio previdenziale”. Per il Professore di Teoria e Politica Monetaria, “un ‘patto sociale’ tra cittadini-consumatori e Stato potrebbe portare alla creazione di un nuovo fondo pensionistico pubblico integrativo” alimentato “dalle spese di consumo e non dai redditi”. Di Giorgio fa riferimento alla proposta elaborata con i colleghi Domenico Curcio e Giuseppe Zito basata “sull’aumento dell’1% dell’aliquota Iva sugli acquisti di ogni bene e servizio, a fronte di un contestuale impegno da parte dello Stato di destinare il doppio del gettito ottenuto” all’accumulazione di risparmio previdenziale.
IL CASH FORWARD PER LA PREVIDENZA
Tale fondo dovrebbe essere gestito da “intermediari finanziari, vincitori di una gara pubblica. In concreto, si tratterebbe di utilizzare l’infrastruttura tecnologica già esistente e adoperata negli anni precedenti per il cosiddetto cash back, rovesciandone però la prospettiva e trasformandola in cash forward. Ogni acquisto di beni e servizi effettuato con mezzi di pagamento elettronici registrati consentirebbe al cittadino-consumatore di accumulare il 2% del valore speso in previdenza integrativa. Ne beneficerebbero in misura maggiore i soggetti più fragili dal punto di vista previdenziale, come i giovani, che hanno profili reddituali scarsi, ma scelte di consumo supportate dai mezzi economici messi a disposizione da genitori o parenti. Gli impatti sulla finanza pubblica sarebbero limitati e gestibili”.
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