Il governo è attualmente impegnato a tentare di districare il complesso nodo della riforma pensioni 2023, ma in che modo si deciderà di agire per favorire i millennials, vale a dire gli under ’40 che, stando così le cose non arriverebbero mai alla pensione oppure potrebbero avvicinarsi, nei casi più gravi e salvo imprevisti verso gli 80 anni? Il governo troverà i soldi per finanziare gli ascensori sociali come Ape sociale?
Riforma pensioni 2023: per qualcuno la pensione sarà un miraggio
Ormai il capitolo sulla riforma pensioni 2023, sembra essere destinato a prolungarsi all’infinito. Eppure la sensazione, benché vivida, troverà presto una sua conclusione in quanto il governo non ha ancora intenzione di introdurre la riforma nel DEF (documento di economia e finanza, n.d.r.) che sarà presentato ad aprile (salvo imprevisti), per poi spostare la discussione alla Nadef di settembre (la nota di aggiornamento al Def, n.d.r.), così da far catapultare la riforma strutturale direttamente a dicembre, in occasione della legge di bilancio.
E fin qui ci siamo. Il problema è che le ultime mosse, timide per la verità, di Giorgia Meloni e di Marina Calderone, hanno finito per depotenziare Opzione Donna e soprattutto per aumentare l’età pensionabile di moltissime categorie, con la sola eccezione di quei rari e pochi dipendenti statali che sono riusciti ad accaparrarsi un posto di lavoro sin da giovanissimi. Ecco, solo in questi casi la quota 41 universale finirebbe per garantire una exit intorno ai 61 anni (ma siamo fin troppo ottimisti). In tutti gli altri casi, volendoci addentrare nella realtà, è probabile che la exit di un giovane che abbia cominciato a lavorare a 25 anni, sia prolungata a data da definirsi e cioè a 70 o 74 anni. Perché ciò possa accadere c’è a necessità che questo individuo non sperimenti mai nella sua vita la discontinuità contributiva. In tal caso infatti, il prolungamento della exit, semplicemente cancellerà il diritto alla pensione.
Riforma pensioni 2023: la necessità di potenziare Ape Sociale
A meno che non s’introducano e non vengano estesi dei correttivi volti a non far pagare il prezzo di decenni di assenza della politica previdenziale e del lavoro. Uno di questi, con tutte le buone intenzioni, avrebbe voluto renderlo strutturale Andrea Orlando, ex ministro del Lavoro: stiamo parlando di Ape Sociale.
La stessa idea l’ex ministro ce l’aveva anche per Opzione Donna che però non avrebbe voluto depotenziare come invece ha fatto l’attuale esecutivo Meloni, ma avrebbe voluto anzi rafforzarla e dare al corpo di lavoratrici la possibilità di garantirsi una exit a 36 anni di contributi e con il raggiungimento di 58 anni di età. L’Ape sociale estesa, potenziata e resa strutturale, aveva invece la funzione essenziale (se rapportata all’attuale tessuto socio economico), di dare un ascensore previdenziale a caregiver, lavoratori precoci, lavori usuranti, fragili e anche coloro che avrebbero bisogno di troppo tempo per raggiungere la pensione, quindi coloro che hanno avuto una discontinuità contributiva e stiamo parlando della maggioranza dei casi.
Eppure il governo non solo sta pensando che quota 41 universale possa costare molto, ma pare che sul tavolo non stia prendendo corpo nessuna proposta prevalente per la prossima riforma pensioni 2023. Inoltre il problema delle coperture è ancora sul tavolo: non si sa come finanziarla, dove si troveranno i soldi per i correttivi?