LE PAROLE DI MACCARI (SPI-CGIL)

Romina Maccari, Segretaria generale dello Spi-Cgil di Macerata, ricorda che “da anni rivendichiamo la corretta applicazione del meccanismo della perequazione, vale a dire l’adeguamento del valore della pensione all’inflazione”, anche perché “la mancata rivalutazione delle pensioni dal 2014 al 2020 ha comportato per i pensionati una perdita economica ingiusta e non recuperabile. Con il Governo Draghi si era giunti all’impegno di ’scongelare’ nel 2023 il sistema perequativo e applicarlo come previsto per legge, impegno venuto meno con la nuova Legislatura. Un adeguamento, ad onor del vero c’è stato, applicando però un sistema inadeguato. Senza un provvedimento idoneo da parte dell’attuale Governo, si potrebbe intervenire sulla 14esima mensilità, ampliando la platea degli aventi diritto”. Come riporta l’edizione locale del Resto del Carlino, secondo la sindacalista “è urgente rivedere le regole fiscali per il reddito da pensione. Quest’ultimo, infatti, a parità di importo lordo, rispetto a un reddito da lavoro dipendente, ha un prelievo fiscale più alto e, di conseguenza, un importo netto più basso”.



RIVALUTAZIONI DELLE PENSIONI, LA CRITICA DELLA UIL PENSIONATI

Arriva da Perugia il nuovo affondo della Uil contro la riforma pensioni sulle rivalutazioni presente nell’ultima Manovra di Bilancio 2023: il settore “Pensionati” del sindacato guidato da Pierpaolo Bombardieri lamenta nell’ultimo incontro nella sezione Uilp Umbria il taglio compiuto dal Governo Meloni. Lanciate poi le cause “pilota” contro il taglio della rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 4 volte il Trattamento minimo Inps, di 500 euro, e quindi pari a 2.101,52 euro mensili lordi.



L’obiettivo è quello di ottenere la pronuncia della Corte Costituzionale sulla illegittimità costituzionale: «I pensionati non sono un bancomat», lamenta la segretaria della Uil Pensionati dell’Umbria, Elisa Leonardi, «per questo la nostra organizzazione ha promosso questa iniziativa, con l’obiettivo di mettere in chiaro che le pensioni non sono un regalo dello Stato, ma invece qualcosa che i lavoratori hanno ottenuto con la fatica del proprio lavoro. Una tutela dunque, che va di pari passo con quanto la UilP porta avanti per i pensionati che percepiscono somme più basse e che vanno tutelati in un panorama di caro energia e inflazione che rischia di soffocare i nostri anziani». (agg. di Niccolò Magnani)



L’IPOTESI PER LA LEGGE DI BILANCIO

In un articolo pubblicato sul sito del Corriere della Sera viene spiegato che tra le ipotesi di misura di riforma delle pensioni da inserire nella prossima Legge di bilancio c’è anche “un ritorno di Quota 96 (61 anni di età e 35 anni di contributi) per chi svolge lavori particolarmente gravosi. Con questo meccanismo, coloro che svolgono mansioni usuranti potrebbero andare in pensione a 61 anni di età e con 35 anni di contributi. Sul tavolo anche la proposta di un ulteriore abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, creando così una ‘Quota 95’. Comunque sia, con questo nuovo strumento l’Ape sociale verrebbe confermata. Se saltasse Quota 96 si potrebbe estendere l’attuale Ape che, istituita dalla legge di Bilancio 2017, prevede un’indennità a carico dello Stato erogata dall’Inps, entro dei limiti di spesa, a soggetti in determinate condizioni previste dalla legge, abbiano compiuto almeno 63 anni di età e non siano già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. L’indennità viene corrisposta fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia o per la pensione anticipata”.

L’OBIETTIVO DI BERLUSCONI VACILLA

È trascorso più di un mese dalla scomparsa di Silvio Berlusconi e Francesco Torellini, in un articolo pubblicato su quotidianoitalia.it, evidenzia che l’ex Premier “è stato sempre attento alle fasce più deboli, e anche in campagna elettorale ha sempre parlato di aggiustamenti al reddito di cittadinanza e non della sua totale abolizione. Aveva le idee chiare anche sulle pensioni minime. Già nel suo governo portò le minime da cinquecentomila lire a un milione di lire. Oggi quel milione di lire sono diventati cinquecento euro, somma che è povertà per chi la riceve. Nell’ultima campagna elettorale, che ha visto il centrodestra trionfare, Berlusconi aveva assicurato che già in questa legislatura le pensioni minime sarebbero passate a mille euro. Un sogno che ha coltivato fino all’ultimo minuto. Dall’andamento che ha preso il governo Meloni sembra che quel sogno sia accantonato e difficilmente in questa legislatura si possa giungere a realizzarlo. Ora che non c’è più, il tutto passa in mano al suo partito, che dovrebbe lottare a denti stretti per difendere il sogno di Berlusconi”.

RIFORMA PENSIONI, I DATI DELL’ENPAM

Italia Oggi, dopo aver analizzato alcuni dati del Centro studi dell’Enpam, la cassa previdenziale di medici e odontoiatri, evidenzia che “la schiera dei ‘camici bianchi’ che vanno in pensione, nel nostro Paese, è sempre più folta: dal 2014 al 2022, infatti, i trattamenti ordinari (quelli, cioè, corrisposti in virtù del raggiungimento dei requisiti anagrafici, o contributivi) hanno registrato un’impennata del 257%, a cui, nell’ultimo triennio, potrebbe aver dato man forte lo scoppio della pandemia. E, soltanto l’anno scorso, la spesa per prestazioni previdenziali effettuata dall’Enpam” è stata pari “a 2 miliardi 670 milioni e 664.965 euro (+14,44%, al confronto con le uscite del 2021)”.

LE PAROLE DI OLIVETI

Sul quotidiano economico vengono riportate anche alcune considerazioni del Presidente dell’Enpam Alberto Oliveti. Tra queste il fatto che l’aumento dei pensionati tra i medici era previsto, vista “la nutrita coorte dei nati negli anni ’50”, già “prima dell’avvento del Covid-19”, che, però, “potrebbe averlo un po’ accelerato”. Guardando alle “singole gestioni dell’Enpam, tra quanti esercitano la medicina generale i pensionati sono cresciuti in un anno del 12%, con un’’escalation’ del 503% a partire dal 2014; per quel che concerne, invece, la libera professione (la ‘Quota B’) la spesa dell’Enpam per i trattamenti è stata superiore del 21,33%, rispetto al 2021 (pari, cioè, a oltre 304,4 milioni 304.487.837,84) e, se nell’ultimo anno, il numero di chi è andato in quiescenza ha fatto un salto in avanti del 5,43%, l’incremento, però, è del 265% dal 2014”.

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