Mentre il governo Meloni sta attendendo di mettere insieme nuovamente le idee le proposte per una riforma pensioni 2023 che possa far contenti tutti, in Francia la riforma pensioni è stata varata dopo ben due anni di gestazione nella mente di Emmanuel Macron, che, ben conoscendo lo spirito guerrigliero dei Francesi, ha deciso di sostenere la riforma mantenendo un silenzio all’interno dell’Eliseo. E anche se la riforma previdenziale francese che ha anticipato di due anni la exit pensionistica è stata varata e sarà attuata ufficialmente dal 1 settembre 2023, l’applicazione della stessa sta già creando numerosi problemi all’interno di casse statali.



Riforma pensioni 2023: cosa accade in Francia

Anche se la Francia è un paese che ha avuto decine di sistemi previdenziali diversi a seconda delle categorie dei lavoratori, ce n’è uno che sta tentando di attuare la riforma pensioni che entrerà in vigore del primo settembre. Parliamo del Fondo nazionale di assicurazione vecchiaia (Cnav), che detrae i contributi dalle buste paga di oltre 20 milioni di dipendenti e versa le pensioni a 17 milioni di pensionati. Il direttore della cassa, Renaud Villard, ha dichiarato che i conti dell’ente vengono tenuti insieme con le unghie.



In una situazione di questo tipo i dipendenti dell’ente non sanno quali informazioni dare agli assicurati e ai pensionati da settembre in poi. Una situazione che rivela una mancanza di comunicazione tra enti pubblici in un paese in cui l’integrazione tra i vari elementi del sistema amministrativo, previdenziale e pubblico è sempre stata la forza più grande. E cosa potrebbe dunque accadere in Italia una volta che il governo Meloni ha deciso di mettere giù la bozza di riforma?

Riforma pensioni 2023: cosa potrebbe accadere in Italia?

Sicuramente tutto dipenderà dalla tipologia di proposta che verrà avanzata. Se infatti in Francia l’età pensionabile è stata alzata di due anni e portata a 64 anni a partire dal 2030 con 43 anni di contributi, in Italia la situazione è ben diversa. Si sta decidendo di optare per una exit a 62 anni, ma anche in questo caso per poco tempo, poi la exit pensionistica potrebbe essere innalzata a 64 anni esattamente come in Francia.



Non abbiamo ancora una riforma pensioni definitiva, ma soltanto una serie di bozze che dovrebbero servire anche ad appianare i problemi socio-economici del corpus dei lavoratori, la maggior parte dei quali infatti non gode di una continuità contributiva e, tutto questo, in vista del 2030 anno in cui il sistema contributivo sarà integrale, potrebbe causare moltissimi danni e crepe all’interno del sistema socio economico.

Non manca nemmeno la Commissione Europea a fare da grillo parlante all’Italia: da Bruxelles infatti sono ormai mesi che si ricorda a palazzo Chigi di ridurre la spesa pubblica inerente alla spesa del sistema previdenziale destinata inevitabilmente a salire entro il 2030, poi entro il 2035 anno in cui si creerà uno spartiacque poiché il corpo dei pensionati sarà di due terzi superiore rispetto al corpo dei lavoratori. Ma dal 2050 la spesa pubblica sarà quasi insostenibile, tutto ciò dipenderà dalla riforma pensioni che si deciderà di attuare. Ovviamente la riforma pensioni a cui il governo sta pensando è una riforma che se da una parte riesca a tenere a freno le ingerenze dei lavoratori e delle categorie, ad accontentare i sindacati, dall’altro ponga necessariamente un freno alla spesa pubblica previdenziale che costituisce una vera e propria bomba ad orologeria per il prossimo futuro.

Ma in che modo la riforma pensioni potrà adattarsi a numerosi enti che pure in Italia esistono? Ciò che sta accadendo in Francia, potrebbe riproporsi anche in Italia? Tutto questo dipenderà inevitabilmente dalla tipologia di proposta che il Ministero del lavoro guidato da Marina Calderone deciderà di mettere in piedi anche grazie alla collaborazione di tutti gli altri membri dell’esecutivo.