Giorgia Meloni aveva riposto grandi speranze nella riforma pensioni 2023, prima di assicurarsi sulle reali risorse statali: solo 22 miliardi da distribuire sulle varie misure, in vista di una legge strutturale che arriverà, molto probabilmente con un anno di ritardo. Ma quali saranno le misure riconfermate dal governo? Facciamo il punto nel seguente articolo.



Riforma pensioni 2023: solo 22 miliardi in manovra

A causa dell’inflazione elevata che, per il 2023 si attesta al 5,4%, il governo ha dovuto centellinare tutte le risorse a disposizione messe in legge di bilancio che sarà presentata entro il 16 ottobre, prima delle discussione e della relativa votazione entro dicembre. Ma ormai è chiaro che i fondi sono esigui e non c’è spazio per una legge strutturale sulle pensioni che andrà rimandata probabilmente al 2024.



Il governo Meloni però ha potuto riconfermare, secondo voci di corridoio, soltanto quota 103 bis che darà la possibilità di ottenere la tanto agognata exit pensionistica all’età di 62 anni e 41 di contributi. Del resto è proprio 62 anni l’età media dei pensionati registrati nel 2022. Il governo ha così inteso seguire il flusso degli anni precedenti, andando sul sicuro e cercando di non contrastare troppo sindacati e aspettative popolari. Ma quando arriverà il momento di procedere alla legge strutturale dobbiamo aspettarci tagli o proroghe?

Riforma pensioni 2023: tutto rimandato al 2024?

Di sicuro la difficoltà delle casse statali è quella di adeguarsi ad un numero sempre più esiguo di risorse, ridotte anche dagli adeguamenti pensionistici e di welfare che sono stati maggiorati, sulla base di un calcolo basato sull’indice perequativo.



Per il 2024 tuttavia si attende una crescita e la progressiva diminuzione dell’inflazione.

La manovra 2023 aveva alzato dell’1,5% gli assegni più bassi, ma nel 2024 si passerà ad un aumento del 2,7% per tutti coloro che percepiscono il trattamento minimo, mentre per gli over 75 sarà prorogata la rivalutazione straordinaria del 6,4%.

Al netto di questo il governo non ha altra soluzione che rendere strutturale Ape sociale, Opzione donna opportunamente modificata (visto che il governo era tentato a ritornare sulle misure già adottate dal dicastero guidato da Andrea Orlando, con i requisiti fissato a 36 anni di contributi e 58 anni di età).

L’integrazione di queste due misure è funzionale ad evitare bombe sociali, visto il gran numero di lavoratori la cui carriera è caratterizzata da una discontinuità contributiva.
Entro il 2035 infatti il numero dei lavoratori sarà inferiore di 2/3 rispetto al numero dei pensionati ed entro il 2050 ci sarà un solo lavoratore per pensionato.
Ecco perché la denatalità è un pericolo per i conti italiani e il governo sta contestualmente portando avanti misure di welfare volte a contrastare il deficit di nascite: di qui i bonus per le famiglie numerose per cui sarà destinata una buona parte della legge di bilancio.