Il governo Meloni non ha ancora proceduto alla presentazione della riforma pensioni 2023 che tutti attendono: sia i sindacati che le categorie infatti sono in trattativa ormai da anni, anche quando il dicastero era retto da Andrea Orlando.

Sicuramente il conflitto internazionale ha messo seriamente a rischio i conti dello Stato che dovranno fronteggiare una solida impennata di rivalutazioni.



Riforma pensioni 2023: nulla di fatto nel decreto lavoro, e adesso?

Ma a seguito del decreto lavoro presentato e votato dall’esecutivo il 1 maggio, in occasione della festa dei lavoratori, tutti si sarebbero aspettati che l’esecutivo inserisse all’interno quantomeno la bozza di una riforma ponte, quindi una quota, come quota 103 che servisse a traghettare il corpo dei lavoratori in uscita alla tanto agognata legge strutturale che, molto probabilmente verrà votata direttamente nel 2024 ed entrerà in vigore nel 2025.



La prima ipotesi in realtà è che il governo meloni possa introdurre una bozza di riforma pensioni all’interno della Nadef, ma siccome il nodo delle coperture relativo ai conti pubblici a seguito della dilagante inflazione che ha preso il sopravvento anche nel 2023 con un +5,7%, non consente ancora di fare valutazioni sul futuro. Bisognerà dunque valutare quali saranno le entrate e quali le uscite entro la fine dell’anno fiscale: è dunque presumibile che la riforma pensioni tornerà in auge direttamente nel 2024. Una sua approvazione dunque sarà determinante poiché l’attuazione delle disposizioni normative, avverrà direttamente nel 2025.



Riforma pensioni 2023: perché la bozza potrebbe saltare dalla Nadef?

Basta questo rapido calcola comprendere che non soltanto c’è bisogno di una riforma ponte che possa sostenere l’intero corpo dei lavoratori anche l’anno prossimo, e questo potrebbe essere fatto nella Nadef 2023, ma c’è anche bisogno di una serie di correttivi che possano fungere da ammortizzatori sociali per tutti coloro che hanno una carriera contributiva altamente discontinua, tale da non consentire nemmeno l’accesso al mondo del lavoro poiché i famigerati 41 anni di contributi sarebbero raggiunti all’età di 75 anni.

In quest’Italia che vive ancora il problema dell’assenza di una legge strutturale sulle pensioni, sono dunque fondamentali le misure di welfare che devono essere non soltanto pensate in relazione alle relative ingerenze della popolazione, ma anche valutate nel loro impatto a medio e lungo termine. La valutazione dell’impatto però deve concernere non soltanto le casse statali, ma anche le reali esigenze della popolazione, delle categorie sociali e del corpo dei lavoratori rappresentato dai sindacati.