Le piccolissime misure introdotte dal governo Meloni, sia nella NADEF di settembre che nei decreti appena approvati e inserite in legge di bilancio 2024 che dovrebbe essere approvata entro la fine dell’anno, sono state rinominate “misure ponte“, così come quota 103. Eppure si tratterebbe di misure “tampone”, perché il governo Meloni non è riuscito a trovare le risorse nemmeno per riconfermare Opzione donna e Ape sociale così come erano state approvate per il 2023. Adesso, tra misure depotenziate e il restringimento conseguente della platea dei beneficiari in riforma pensioni, lo sguardo al 2024 è uno sguardo di speranza che l’esecutivo collabori attivamente alle proposte attive dei sindacati.



Riforma pensioni 2023: la Nadef recupera appeal

C’è chi pensa che le piccolissime misure inserite all’interno della NADEF possano servire a conciliare i problemi socio economici che potrebbero verificarsi tra lavoratori di generazioni differenti.
Se fosse vero che la nota di aggiornamento al DEF “ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio lungo periodo garantendo una maggiore equità tra le generazioni”, gli italiano lo vedrebbero almeno fra 10 anni. Quello che è certo è che se dal 2030 il sistema contributivo diventerà integrale, dal 2035 il numero di lavoratori sarà nettamente inferiore a quello dei pensionati. Quindi la riduzione delle misure legate agli ammortizzatori previdenziali hanno esattamente la funzione di contenere la spesa pubblica, non solo sulla scia della situazione inflattiva che abbiamo vissuto, ma anche nell’ottica delle spese da attuare nel prossimo futuro con una crescita, almeno per il momento, inchiodata allo zero.



Nell’ottica di queste idee c’è chi propone di rivedere almeno gli ammortizzatori previdenziali e mantenerli così come in precedenza formulati e in maniera strutturata almeno all’interno di una riforma pensioni resa strutturale dove considerare le varie casistiche lavorative. L’idea sarebbe quella di includere una scala che preveda un taglio sull’assegno mensile dell’1,5% minimo, in favore di una exit anticipata e maggiori incentivi per chi decide di restare. Di certo c’è soltanto che, con l’attuale requisito contributivo dei 41 anni i lavoratori del futuro dovranno godere di buona salute e permanere nelle loro funzioni almeno fino a 70 anni. Salvo miracoli.

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