IL RITARDO NELL’USCITA DAL LAVORO
In un articolo pubblicato su Repubblica viene spiegato che “nel 2024 ritornano in modo pieno le regole ordinarie della legge Fornero per andare in pensione. Chi pure riuscirà ad anticipare – tra Quota 103, Opzione donna, Ape sociale – si rassegni: l’uscita slitta al 2025 per via di paletti e finestre introdotti nella seconda manovra del Governo Meloni. E anche l’assegno sarà più basso con i nuovi tetti e le penalizzazioni”. In particolare, “le nuove finestre applicate a Quota 103 sono più ampie e di fatto posticipano il pensionamento di quasi tutti i ‘quotisti’ al 2025. Per i dipendenti pubblici si passa da 6 a 9 mesi. Per i dipendenti privati da 3 a 7 mesi. Di fatto, solo chi raggiunge i requisiti per Quota 103 tra gennaio e aprile del prossimo anno andrà in pensione nel 2024. Gli altri slittano tutti all’anno dopo”. Senza dimenticare che oltre al ricalcolo contributivo è previsto “un tetto all’assegno, pari a quattro volte il minimo: significa che la pensione non potrà essere superiore a 2.394 euro lordi mensili fino al compimento dei 67 anni”.
LA MINI-RIFORMA PENSIONI NEL PROSSIMO MILLEPROROGHE
In Consiglio dei Ministri giovedì 28 dicembre arriva il Decreto Milleproroghe, l’ormai tradizionale strumento che ogni Governo utilizza a fine anno per contenere tutti i dossier che non hanno trovato spazio nella Manovra di Bilancio corrente. E così dopo la riforma pensioni adottata in Finanziaria, con non molte novità sostanziali, qualcosa potrebbe cambiare con il Milleproroghe in arrivo dal prossimo CdM.
Dovrebbe infatti essere inserita nel nuovo Decreto la possibilità per i medici di andare in pensione a 72 anni in deroga alla Legge Fornero: per tutti gli altri professionisti invece non ci dovrebbero essere particolari cambiamenti, dunque con la conferma della pensione di vecchiaia a 67 anni con 20 anni di contributi. Per quanto riguarda il taglio alla rivalutazione dei medici e sanitari, è stato un emendamento alla Manovra in via di approvazione in Parlamento ad aver messo una “pezza” dopo l’allarme lanciato dai sindacati di categoria. (agg. di Niccolò Magnani)
IL REBUS SULLE RISORSE DI PREVIDENZA ITALIA
Secondo quanto riporta Repubblica, “è pronto il decreto ministeriale che toglie 29,5 milioni a ‘Previdenza Italia’ per darli ad Assoprevidenza. Risorse pubbliche che passano da un ‘Comitato’ terzo voluto dal Parlamento nel 2011 a un’associazione privata che raggruppa solo una parte dei fondi previdenziali italiani. Scopo: promuovere la previdenza complementare e incanalare il risparmio previdenziale verso l’economia reale, in particolare le piccole e medie aziende. Parliamo di 309 miliardi, il 16% del Pil, tra casse e fondi”. Tuttavia, “a Palazzo Chigi le critiche arrivate in questi mesi dai sindacati e dal Pd («Colpo di mano del governo ») sembrano aver fatto breccia. Visto che la premier Meloni starebbe pensando di tornare indietro e fermare «lo scippo», com’è definito dai critici, nel decreto Milleproroghe di fine anno”. Decreto che potrebbe essere approvato nel Consiglio dei ministri, l’ultimo dell’anno, che si dovrebbe tenere domani.
L’APPUNTO DELLA CISL SCUOLA ROMA
La Segreteria territoriale della Cisl Scuola di Roma e Rieti rassicura i lavoratori della scuola circa la presunta prescrizione dei contributi dei dipendenti iscritti alle gestioni pubbliche, chiarendo “che la posizione contributiva potrà essere sistemata anche dopo il 31 dicembre 2023”, che “non deve essere considerato come la data ultima entro cui l’iscritto/dipendente pubblico può chiedere la variazione della propria posizione assicurativa: i lavoratori della scuola sono tutelati in ogni caso, poiché le contribuzioni denunciate dopo il 31 dicembre 2019, anche se riferite a periodi antecedenti i cinque anni, sono regolarmente accreditate sulla posizione assicurativa e sono utilizzabili. Per completezza, è bene specificare che gli unici dipendenti pubblici che devono fare attenzione alla contribuzione omessa sono quelli iscritti alla Cpi (Cassa pensioni insegnanti), cioè gli insegnanti delle scuole comunali (nidi e materne), poiché questi dipendenti non rientrano nell’art. 31 della L. 610/52”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI LANDINI
Intervistato dalla Stampa prima di Natale, Maurizio Landini ha evidenziato che in Italia nel nostro Paese “la prima esigenza è aumentare strutturalmente i salari, il che vuol dire rinnovare i contratti nazionali di lavoro nel pubblico e nel privato”. In questo senso, il recente sciopero dei lavoratori del commercio, del turismo e dei servizi, “i cui contratti sono scaduti da quattro anni, solleva il legame fra bassi salari e caduta del potere d’acquisto. Allo stesso tempo occorre una vera riforma fiscale, la legge delega che il governo si è fatto votare non va bene: non combatte l’evasione, non allarga la base imponibile, non colpisce le rendite finanziarie e immobiliari. In compenso, non riduce il peso impositivo su pensioni e salari”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI LANDINI
Secondo il Segretario della Cgil, per i diversi interventi occorrono risorse che “vanno prese dove sono, sui profitti e gli extraprofitti, e destinate dove sono prioritarie, la sanità e l’istruzione, gli investimenti sulla transizione energetica e ambientale. Sono i settori centrali dove, invece, si sta tagliando”. In tema di riforma delle pensioni, Landini ha anche evidenziato che il Governo è riuscito “a peggiorare drasticamente persino la riforma Fornero. Le nuove generazioni sono più precarie e non avranno più un sistema pensionistico. Non si può continuare a offrire a giovani e donne una instabilità permanente fondata sulla deregolamentazione degli appalti, i voucher e la liberalizzazione dei contratti a termine”. Infine, il 2023 “lo vedo difficile. Vedo un’emergenza salariale grandissima con la gente che non ce la fa”.
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