Il governo Meloni sostiene che se avesse mantenuto il superbonus anche al 90%, sarebbero mancati fondi per pagare le pensioni. Ma quanto è vero ciò che dice? Va detto infatti che nel primo trimestre del 2022 e l’Italia, con l’aumento dell’inflazione, ha anche aumentato l’incasso del gettito IVA che è stato quantificato in circa 11 miliardi.
Riforma pensioni 2023: quanto è vero che il mantenimento del superbonus avrebbe potuto mettere a rischio il pagamento delle pensioni?
Esattamente quanto serviva a pagare la spesa previdenziale se, anche questa, non fosse stata drammaticamente ridotta. Infatti con la bocciatura di quota 100 e quota 102, lo stato ha ridotto la spesa previdenziale da 10 miliardi a 756 milioni, di cui soltanto 256 milioni sarebbero stati utilizzati. La verità dunque è che il superbonus 110% non era minimamente sostenibile e quindi è stato ridotto al 90%, ma la riduzione non ha consentito comunque di poterlo assicurare a tutti. L’incapacità tecnica a pagare attraverso crediti fiscali può quantomeno aprire all’ipotesi del default tecnico. Il problema dunque, al netto di tante parole è che l’Italia non avrebbe saputo disincagliare i crediti, non avrebbe saputo tenere i conti e allo stesso tempo proseguire una favola di un superbonus al 110% o 90%. Lo Stato, molto semplicemente e per dirla in altri termini, ha difficoltà a pagare.
Sicuramente però non avrebbe dovuto avere la stessa difficoltà a pagare le pensioni dato che il gettito d’Iva incassato nel primo trimestre di impennata inflattiva nel 2022 ha incassato circa 11 miliardi e altrettanti nei successivi trimestri, fino alla fine del 2022. Era stato già detto che quelli avrebbero potuto aiutare nel sostenere non solo la spesa previdenziale ma anche le spese in eccesso della sanità (che sarebbero ammontate dai 3 agli 8 miliardi, tra inflazione e caro bollette).
Riforma pensioni 2023: la spesa previdenziale è stata comunque ridotta di 10 volte
Quindi lo Stato ha dovuto fare i conti con la realtà per poi dare la pessima notizia 25.000 aziende che adesso rischiano la chiusura generando un rischio per 130.000 posti di lavoro. Per quanto riguarda la riforma pensioni inoltre, la quota 41 secca non è una soluzione, ne potranno beneficiare veramente poche persone, tantissime altre sperano in un salvagente sociale: questo potrebbe essere l’Ape sociale strutturata ed estesa anche ad alcune categorie come coloro che non hanno un curriculum contributivo continuativo, quindi i giovani caratterizzati da discontinuità contributiva, i caregiver, i lavoratori fragili e tante altre ancora. Si tratta dunque di una soluzione che era stata pensata già durante il governo Draghi, ma purtroppo i tavoli di lavoro che si sono protratti per i primi tre mesi del 2022 non sono giunti a nessuna soluzione pratica. La riforma pensioni fu eliminata sia dal Def, il documento di Economia e Finanza e anche dalla Nadef di settembre.
Ecco perché l’incapacità tecnica di corrispondere i crediti da parte dello stato non avrebbero potuto incidere comunque sulle pensioni. Ma si tratta di un elemento veramente a sé stante, incentrato unicamente sulla errata gestione dei conti pubblici.
Riforma pensioni 2023: la riforma strutturale non salverà nessuno
Tuttavia Giorgia Meloni e Marina Calderone sperano di poter mettere giù una riforma fiscale oltre che una riforma pensioni strutturale. Tutto questo andrebbe aggiunto agli incentivi alla natalità che il governo ha fortemente voluto.
È pur vero che comunque la riduzione del superbonus di tutti gli altri bonus edilizi, hanno potuto garantire un incremento sugli assegni delle pensioni. Almeno è quello che ripete la stampa, fermo restando che la rivalutazione dell’assegno pensionistico è dovuta per legge, in quanto questa sì basa su l’indice perequativo che fa riferimento all’andamento inflattivo dell’anno precedente . Quindi semplicemente lo Stato non avrebbe saputo nemmeno pagare la rivalutazione dell’assegno pensionistico rivalutato, nonostante la spesa previdenziale sia stata ridotta di oltre 10 volte.
L’eliminazione del superbonus ha comunque garantito al governo di poter attingere ad un tesoretto di 30 miliardi di euro che, altrimenti, non sarebbe potuto essere utilizzato appunto questo tesoretto potrebbe essere invece impiegato per la riforma strutturale delle pensioni, la riforma fiscale e tanto altro.