IL PROBLEMA DEI COEFFICIENTI DI TRASFORMAZIONE

Come ricorda Avvenire, “l’Inps inizia il nuovo anno con un aggiornamento del calcolo contributivo delle pensioni”, dato che “un recente decreto ha indicato i coefficienti validi per il biennio 2023-2024, che risultano ora più favorevoli dei precedenti perché la mortalità causata dal Covid ha ridotto la durata media della vita. I coefficienti si applicano sull’età del lavoratore all’atto del pensionamento, all’interno di una scaletta che inizia da 57 anni fino al massimo di 71 anni”. Tuttavia, “l’esperienza sta mostrando che il limite dei 71, cioè l’anno con il coefficiente per l’età più alta di pensionamento, si sta rilevando non equo per quei lavoratori (non sono molti, ma sempre da considerare) che, per vari motivi, chiedono la rendita oltre questa età. In questi casi, qualunque sia la distanza dai 71 anni, l’importo della pensione sarà più basso di quello virtualmente spettante per l’età effettiva. Lo spiega meglio il caso (reale) di una lavoratrice che avendo presentato una domanda oltre gli 80 anni di età ha ricevuto la pensione calcolata col coefficiente 71, più basso di oltre dieci anni”.



L’ALT DI CAZZOLA ALLA RIFORMA PENSIONI DI QUOTA 103

Secondo Giuliano Cazzola, la riforma pensioni di Quota 103 per il solo 2023 rappresenta un punto di “delusione” ampiamente anticipato dallo stesso già mesi fa: nella lunga intervista a “Pensioni per tutti”, l’ex Ministro sottolinea «Se in materia di pensioni alla fine tutti i governi – qualunque sia il loro orientamento – finiscono per fare più o meno la stessa politica forse ci sono delle ragioni oggettive. I partiti che compongono l’attuale maggioranza – soprattutto alcuni – hanno campato per anni su promesse insostenibili. Quando si sono avvicinati al governo se ne sono resi conto. L’esperienza baldanzosa del 2018 è stata abbandonata come un povero cane in tangenziale».



Cazzola dunque durissimo specie contro la Lega ma in generale bacchetta il Governo Meloni per quanto riguarda la Quota 103: «Per accedervi occorre percepire un trattamento fino ad un massimo di 2.800 euro mensili che non sono cumulabili con altri redditi (se non una limitata prestazione occasionale). Ma il  bello sta nella revisione della perequazione automatica in conseguenza della quale molti percettori della nuova pensione anticipata flessibile concorreranno a pagarsela attraverso la minore copertura per il 2023 e il 2024 rispetto all’inflazione». (agg. di Niccolò Magnani)

I PENSIONATI CITTADINI DI SERIE C

Su Libero Pietro Senaldi ricorda che “in Italia ci sono un milione e ottocentomila cittadini di serie C. Sono i pensionati che godono di un assegno da 2.600 euro mensili e più. Tutti ex lavoratori che hanno versato centinaia di migliaia di euro di contributi, che generalmente hanno lavorato più a lungo del periodo necessario per avere i requisiti minimi per il ritiro, talvolta anche oltre i settant’anni, e che non di rado hanno anche riscattato a caro prezzo gli anni di laurea. È da undici anni, dai tempi del governo Monti-Fornero, che questi italiani vedono ridursi inesorabilmente la loro capacità di spesa a causa della mancata indicizzazione piena dell’assegno con l’aumento del costo della vita. Una decisione poi confermata, con diverse gradazioni di taglio, dai governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi e anche da quest’ultimo”. Il risultato, secondo Itinerari Previdenziali, è che chi percepiva nel 2006 un assegno di 3.300 euro lordi  ha “perso fino a oggi quasi 49mila euro – 450 euro al mese – di mancata rivalutazione”.



PENSIONI, LA RIFORMA DA EVITARE CON LA MANOVRA

In un articolo pubblicato su Italia Oggi, Marco Bianchi ricorda come la proroga di Opzione donna, con requisiti più stringenti, abbia provocato problemi all’interno della stessa maggioranza, ed è quindi probabile che ci saranno “rettifiche al testo appena approvato” con la Legge di bilancio. Tuttavia, “al di là delle criticità contingenti e della necessità di modificarne i contenuti, il vero problema è dato da questi interventi di fine anno che puntualmente devono essere adottati per tamponare i ‘buchi’ che si aprono a causa della scadenza dei provvedimenti (anch’essi tampone) adottati un anno prima. E così si va avanti di proroga in proroga, di finestra in finestra. È dunque indispensabile una riforma strutturale del sistema previdenziale italiano, che non avvenga con la Legge di bilancio, ma in altro periodo dell’anno. Una riforma che razionalizzi tutti gli strumenti pensionistici esistenti e modernizzi l’impianto della previdenza italiana. Insomma, ci vuole un intervento mirato a uscire dalla continua emergenza previdenziale per entrare in una logica di sistema”.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI COLOMBO (CGIL)

Intervistato dalla Provincia, il Segretario generale della Cgil di Como, Umberto Colombo, spiega che “la manovra è regressiva e pericolosa: non si rivalutano salari e pensioni (il nostro obiettivo era quello di arrivare a una mensilità in più con una decontribuzione decisamente superiore a quella prevista dal governo); sul fisco si va in direzione opposta all’equità; si tagliano sanità, scuola, trasporto locale; si riduce la spesa per le pensioni di 3,5 miliardi con un danno all’indicizzazione, non si cambia la legge Fornero e non si gettano i presupposti affinché i giovani possano nel tempo costruirsi un percorso previdenziale concreto e credibile. In sintesi una manovra che ipoteca il futuro in una direzione opposta a quella auspicata dalle organizzazioni sindacali”.

L’INTERVENTO NELLA MANOVRA

Il sito del ministero del Lavoro, intanto, ricorda che, in base alla Legge di bilancio appena approvata, “entro il 30 giugno 2023, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Covip, sono definite norme di indirizzo in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali, di conflitti di interessi e di banca depositaria, di informazione nei confronti degli iscritti, nonché sugli obblighi relativamente alla governance degli investimenti e alla gestione del rischio”. Ed è “prorogato al 31 gennaio 2023 il termine per la modifica dello statuto e dei regolamenti interni dell’Inpgi. Decorso infruttuosamente il termine, i Ministeri vigilanti nomineranno un commissario ad acta, che, entro tre mesi, adotterà le modifiche statutarie previste dalla legge e le sottoporrà all’approvazione ministeriale”.

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